di Andrea Follini
Mentre la missione della Global Sumud Flotilla volge al termine dopo l’azione messa in atto dalle truppe speciali israeliane che hanno abbordato le barche nelle acque internazionali di fronte a Gaza, cresce in Italia la protesta, con manifestazioni spontanee che hanno preso vita specie nelle grandi città e con lo sciopero generale indetto da Usb e Cgil, che si è svolto ieri ed ha visto una grande mobilitazione di popolo. La missione ha avuto il merito di tenere alta l’attenzione sulla condizione del popolo palestinese e di svolgere un’azione sussidiaria rispetto ad un Governo, quello italiano, che ha voluto accorgersi di quanto stava succedendo nella Striscia solo dopo le bombe cadute a luglio nei pressi della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza ed il ferimento di padre Romanelli. Resta la necessità, denunciata proprio con l’azione umanitaria dalla Flotilla, dell’apertura di un corridoio umanitario stabile per consentire di portare sollievo ai palestinesi, stretti nella morsa dell’esercito israeliano che, di fatto, ha il compito di svuotare e radere al suolo Gaza City, senza preoccuparsi minimamente di dove possano trovare rifugio i civili. Le lunghe file di profughi lungo la costa, che portano con sé ciò che resta di una umanità perduta, ne sono la testimonianza più plastica. Su quanto sta accadendo alla Flotilla ed ai suoi equipaggi, si è pronunciato anche il Partito Socialista, con una nota congiunta di Maraio e Craxi: “Il partito socialista Italiano esprime la sua solidarietà agli attivisti pacifisti de la “Global Sumud Flotilla” bloccati da un abbordaggio illegale al largo della Striscia di Gaza in acque internazionali. Deplorando questo atto invita il Governo Italiano a mettere in atto tutte le misure diplomatiche per garantire l’incolumità di tutti i connazionali posti in stato di fermo e chiede – spiegano – che da parte dello Stato Italiano si esprima una posizione ferma nei confronti dello Stato Israeliano che si è assunto la responsabilità di questo atto di pirateria al di là di ogni legalità internazionale”. Intanto c’è anche chi, nel governo di Netanyahu, afferma che quanto è stato fatto nella Striscia, i morti e le distruzioni, siano ancora poco. Secondo il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, Israele dovrebbe cogliere l’opportunità di “chiudere per sempre” il problema palestinese, anziché assecondare gli Stati Uniti accettando il piano di pace avanzato da Trump. Ben Gvir è lo stesso ministro che si è fatto riprendere al porto di Ashdod, dove sono state portate le barche della Flotilla e dove sono stati fatti scendere gli equipaggi in stato d’arresto, in attesa dell’espulsione. Con una scenetta da propaganda degna di epoche passate, ha apostrofato gli attivisti, fatti sedere a terra, definendoli terroristi. Del resto, questo ministro dell’ultra destra israeliana è lo stesso che ha voluto, sempre a favore di telecamera, visitare in carcere i palestinesi detenuti mostrando loro le foto delle distruzioni di Gaza. Questo è il decantato governo democratico di Israele. Un governo che il suo primo ministro Benjamin Netanyahu farà comunque di tutto per tenere in piedi, conscio com’è che qualora dovesse cadere, per lui si aprirebbe una incerta stagione giudiziaria, visti i numerosi capi d’accusa che lo coinvolgono in procedimenti per corruzione. E proprio il piano di pace promosso da Trump, definito troppo morbido dalla destra, rischia di essere un inciampo nella prosecuzione del governo, tanto che il tergiversare di Hamas fa sicuramente gioco al premier. Sul piano di pace americano si è espresso anche il parlamento italiano, con dei profondi distinguo tra le forze politiche. All’ovvio sì della maggioranza, si è unito il via libera di Italia Viva e di Azione, mente Pd, M5S ed Avs si sono astenuti; lo spiraglio di una pace possibile, anche se condizionata, unito al condizionamento di un sì al piano già dichiarato da molte cancellerie europee, hanno fatto probabilmente propendere i parlamentari per questa soluzione. Certo il piano americano presenta molte perplessità rispetto alla sua solidità, a partire dall’assenza di una definizione dello Stato Palestinese, come di un coinvolgimento diretto dei palestinesi nelle scelte che riguardano la determinazione del loro futuro. Non da ultima, la costituzione di un board capitanato dall’ex premier inglese Tony Blair, sotto il diretto controllo del presidente americano, ha molto il sapore di un colonialismo di ritorno che non farà certo bene a quei territori e che sembra più un’agenzia d’affari che una task force per la ricostruzione di un’area da rendere alla disponibilità dei palestinesi. Anche su questo, la nota del Partito Socialista chiedeva un’apertura: “Il Psi – scrivono Maraio e Craxi – invita il Governo Italiano ad assumere una posizione aperta e non già prestabilita sulla proposta di pace qualificata dai 21 punti del Piano Trump”. È in questo quadro politico che si è tenuta la mobilitazione di ieri che, di fatto, ha testimoniato come il Paese abbia a cuore la questione palestinese. Poco opportuno il dileggio della premier Meloni nei confronti di coloro che hanno partecipato alle manifestazioni, tentando di sottolineare che tale occasione consentiva unicamente ai lavoratori di programmare un weekend lungo. Una dichiarazione che la dice lunga sulla considerazione riposta dalla destra nel diritto di sciopero e, non da ultimo, un tentativo di spostare l’attenzione dalla responsabilità di questo governo su una politica estera che è stata unicamente a “rimorchio” di quella americana.



