FONDATA SUL LAVORO POVERO

di Giada Fazzalari

In un Paese che si dichiara democratico e avanzato, il lavoro dovrebbe garantire dignità, autonomia, libertà dal bisogno. Invece oggi in Italia sono più di tre milioni le persone che pur lavorando vivono sotto la soglia di esclusione sociale. Nel confronto con l’Europa, il quadro è più desolante: gli stipendi in Italia sono tra i più bassi e tra i più stagnanti. Nella migliore delle ipotesi restano fermi; nella peggiore, sono persino inferiori a quelli di vent’anni fa: un lavoratore italiano guadagna in media 15 mila euro in meno all’anno di un lavoratore tedesco, quasi 10 mila in meno di uno francese. È un fallimento sistemico trentennale che ha radici precise: decenni di austerità, precarizzazione e politiche fiscali sfavorevoli per la classe media, hanno logorato la tenuta sociale del Paese. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: stipendi sempre più bassi – l’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere previsto per legge il salario minimo garantito – prezzi alle stelle anche su beni di prima necessità, disuguaglianze crescenti. E ancora, il carrello della spesa sempre più leggero, affitti alti, costo della vita schizzato ai massimi storici. La situazione paradossale di avere un lavoro ma dover scegliere se mangiare o accedere alla sanità privata – sono più di 2 milioni e mezzo gli italiani che rinunciano a curarsi – pone un pezzo importante del Paese nella condizione di doversi svegliare la mattina e scoprire che anche lavorando non ce la fa. Ma se guardiamo alla storia, a quella storia che oggi molti trasformano nella storiella che il debito pubblico aumentò negli anni di Craxi, riusciamo a ‘vedere’ una cosa ben diversa perché la storia si riesce a leggere con lenti più lucide a distanza di anni, 41 per la precisione. L’inflazione a due cifre si mangiava le retribuzioni degli italiani. Nel 1984, il Cdm guidato da Craxi approvò un tipo di provvedimento che non aveva precedenti: il governo ebbe il coraggio di tagliare le retribuzioni degli italiani, facendo un investimento al buio; il probabile abbattimento dell’inflazione avrebbe dovuto portare al recupero del potere d’acquisto dei salari. In effetti anni dopo l’inflazione scenderà dal 16% sino al 4%. Una sfida impopolare che culminò in un referendum abrogativo promosso dal Pci e dalla Cgil dove oltre 18 milioni di italiani votarono no, confermando quella scelta che da impopolare divenne l’unica possibile. Pochi anni dopo riaffiorarono le conseguenze di quella scelta coraggiosa: dalla recessione si è passati ad una crescita del 4 per cento, l’agenzia Standard and Poors assegna all’Italia la tripla A: è la prima volta, ma anche l’ultima. Pescare nella storia serve per dire che di fronte a crisi straordinarie, servono scelte straordinarie. E coraggiose. Un nuovo patto tra le forze politiche, di maggioranza e opposizione, attorno a una sola parola d’ordine: dignità del lavoro. Sarebbe ora, se non vogliamo cominciare a dire che l’Italia è ormai diventata una Repubblica fondata sul lavoro povero.

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