di Lorenzo Cinquepalmi
C’è chi, in modo superficiale e denigratorio, attribuisce la sensibilità socialista sui temi della giustizia ad una reazione per quanto subìto (in gran parte ingiustamente) dai socialisti negli anni ‘90. La storia dice che non è così. Filippo Turati già nel 1883 pubblicò un saggio dal titolo emblematico: “Il delitto e la questione sociale: lo Stato delinquente”, sull’inutilità della repressione penale rispetto al fine di estirpare il delitto e sulla necessità che la detenzione svolgesse un ruolo di recupero favorendo l’educazione alla socialità attraverso il lavoro e la cultura, con l’applicazione più possibile estesa di misure penali alternative al carcere. È poi rimasto nella storia il suo discorso parlamentare del 1904, in cui definiva le carceri italiane un “cimitero dei vivi”, descrivendo il sistema carcerario di allora, ma poco sembra essere cambiato, come un luogo di morte e sofferenza, un “semenzaio di criminalità” specchio delle disuguaglianze sociali. Fu Turati a rivendicare una civiltà nuova in cui la pena per i delitti commessi non fosse solo vendetta sociale ma l’occasione di una redenzione materiale e spirituale che restituisse ai condannati, cittadini al pari degli altri, il diritto al futuro. Una posizione che sarà alla base dell’elaborazione dell’art. 27 della Costituzione, scritto nella prima sottocommissione col contributo fondamentale del socialista Lelio Basso, a cui dobbiamo anche l’articolo 3, quello che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. Anche Nenni diede un contributo importante alla posizione socialista sulla giustizia, se è vero, come è vero, che ebbe a scrivere, nel lontano 1964, “l’indipendenza della magistratura va assumendo forme che fanno di quest’ultima il solo vero potere, un potere insindacabile e, a volte, irresponsabile… c’è da chiedersi chi controlla i controllori…”. Con questa preoccupazione impose nel programma del primo centrosinistra la realizzazione del Csm, previsione costituzionale fino ad allora non ancora attuata, salvo dover constatare, una decina di anni dopo, sulla magistratura e soprattutto di quella associata, che “l’abbiamo voluta indipendente e ha finito per abusare del potere che esercita. Per di più, è divisa in gruppi e gruppetti peggio dei partiti”. Con questa storia alle spalle, i socialisti sono stati in prima fila, e sempre, nelle battaglie per una giustizia più giusta, più equa e più umana: hanno lottato a fianco dei radicali per Tortora, hanno promosso e vinto il referendum per la responsabilità civile dei magistrati, hanno scritto, con Vassalli, un codice di procedura penale accusatorio, che ha sostituito il codice procedurale scritto dal fascista Rocco. Oggi, noi socialisti, siamo ancora impegnati, come negli ultimi centocinquant’anni, per una giustizia giusta e per una pena umana. Sosteniamo la riforma della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, del Csm in quello per i giudici e quello per i pubblici ministeri, e con la loro formazione mediante sorteggio, per spezzare il gioco carrieristico delle correnti nella magistratura organizzata. Siamo e saremo sempre con chi vuole che nel processo penale il giudice sia veramente terzo rispetto ad accusa e difesa, e contro la mentalità forcaiola per cui un accusato è già colpevole. La presunzione di innocenza fino a condanna definitiva non può essere una specie di feticcio costituzionale disatteso nella prassi, deve entrare a far parte della cultura di tutti i cittadini a cui dobbiamo far comprendere che, se a questo principio si sostituisce l’arbitrio di un sistema inquirente a cui dare sempre ragione per dogma, è la libertà di ciascuno di essi che va in gioco, perché l’idea che lo stato abbia sempre ragione è la prima pietra del totalitarismo, e perché quella mentalità crea un tritacarne senza controllo in cui chiunque, senza colpa, può finire stritolato. Quello giudiziario deve diventare un sistema in cui ogni soggetto del processo ha il compito di controllare la legittimità di ogni passaggio, di ogni attività posta in essere da qualsiasi attore: dalla polizia giudiziaria al pubblico ministero, dagli avvocati ai testimoni, agli stessi giudici, nella massima trasparenza e con l’unico scopo di amministrare equamente la giustizia, senza solidarietà corporative o altri secondi fini. E ancora, quando il delitto sia accertato, la responsabilità affermata oltre ogni ragionevole dubbio, e una pena sia inflitta, noi saremo con tutti quelli che, secondo la lezione di Turati, vogliono che essa non sia vendetta sociale, pura afflizione, e fabbrica di dolore da cui nasce, inevitabilmente nuovo delitto, ma veda la netta prevalenza della sua componente rieducativa, riducendo il carcere a un’ extrema ratio riservata solo a coloro di cui sia riconosciuta la pericolosità sociale in termini di rischio per l’incolumità fisica dei cittadini, con l’impegno a realizzare anche dentro il carcere percorsi rieducativi costruttivi ed efficaci. Per questo, da oltre un anno, di fronte all’emergenza del sovraffollamento, oltre ad auspicare norme di drastico contenimento dell’abuso della carcerazione preventiva degli imputati, e a continuare a invocare l’amnistia e l’indulto resi impossibili dalla sciagurata riforma che impone, per la loro adozione, maggioranze parlamentari praticamente impossibili, abbiamo proposto una riforma semplice ed efficace: i condannati per reati non violenti non vanno in carcere, scontano la pena ai domiciliari. A chi, con l’abituale e diffuso animo forcaiolo, trasversale a destra e a sinistra, obbietta “troppo comodo” ricordiamo il patimento collettivo dei due mesi di lock down durante il Covid, per assicurare che la componente afflittiva c’è, eccome, ma a tutti ricordiamo anche che la detenzione domiciliare, oltre a costare allo Stato un decimo della detenzione in carcere, ha un enorme effetto rieducativo, e che la recidiva, cioè la ricaduta nel delitto, di chi ha avuto accesso a pene alternative, è venti volte più bassa che per chi sconta la pena in carcere. È anche attraverso una giustizia giusta che si realizza la giustizia sociale, ed è per questo che su questo fronte i socialisti ci sono e ci saranno sempre.