Ancora giornalisti caduti sotto il fuoco di Netanyahu. Monta la protesta in Israele contro il governo criminale della destra

di Andrea Follini

Dopo quasi due anni da quel terribile 7 ottobre 2023, potremmo apparire come svuotati; difficile trovare parole nuove per chi come noi, dalle pagine di questo giornale, ha gridato da subito lo scempio di umanità che si è scientemente commesso a Gaza. Invece sentiamo la responsabilità di continuare ad urlare il nostro sdegno, a mettere in guardia dalle peggiori situazioni nelle quali non solo il popolo palestinese, ma l’Occidente, nella sua accezione più ampia, si potrebbe trovare in un prossimo futuro. Assieme alla responsabilità di continuare ad informare, tenere alta l’attenzione, su una strage che continua e che non trova attori capaci di contenere, per poi finalmente far cessare. Sono arrivate nuove immagini, per noi di una crudezza ed una crudeltà imbarazzanti, ma che sono purtroppo la quotidianità in quelle terre. Colpi lanciati da un mezzo dell’esercito israeliano che si abbattono sulle strutture sanitarie, che portano morte su coloro che tentano di portare aiuto. Ciò che è successo nei giorni scorsi, ancora una volta, all’ospedale Nasser di Khan Yunis, non ha lasciato indifferente il mondo. A poco è valso il messaggio di rammarico del Primo Ministro Netanyahu, come le scuse dell’Idf. Il quotidiano israeliano Haaretz riferisce che obiettivo dell’attacco erano degli operatori muniti di telecamere, collocati sul tetto dell’edificio ospedaliero, scambiati per uomini di Hamas intenti a spiare i militari di Tel Aviv. Ma – afferma sempre la testata – si sapeva da tempo che giornalisti stazionavano all’interno e nei paraggi dell’ospedale; come mai nessuno ha collegato queste due informazioni, che avrebbero potuto salvare la vita agli operatori morti nell’attacco? “La tesi israeliana è più difficile da accettare in modo convincente – scrivono i redattori di Haaretz – dato che l’Idf ha recentemente annunciato di aver intenzionalmente ucciso personale dei media che lavorava per la rete Al Jazeera, con la motivazione che erano anche agenti di Hamas. Chiunque si assuma la responsabilità dell’uccisione di giornalisti avrà difficoltà a spiegare che questa volta l’hanno fatto per sbaglio”. Parole molto forti, che inchiodano autori e mandanti di questo ulteriore crimine, alle loro responsabilità. Tra le venti vittime di questo bombardamento figurano il giornalista Ahmed Abu Aziz di Al-Quds News, e quattro fotoreporter: Hussam al-Masri di Reuters e Mohamed Salameh di Al Jazeera, e i fotografi freelance di Al-Quds News, Mariam Dagga e Moaz Abu Taha. Con loro, il numero degli operatori dell’informazione uccisi da 7 ottobre, secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, sale a 189. Un dato impressionante, che ha fatto indignare le associazioni della stampa internazionali. Il direttore generale di Reporter Senza Frontiere, Thibaut Bruttin, ha dichiarato: «A Gaza sono stati uccisi altri quattro giornalisti. Fino a che punto si spingeranno le forze armate israeliane nel loro graduale tentativo di eliminare le informazioni provenienti da Gaza? Per quanto tempo continueranno a violare il diritto internazionale umanitario? La protezione dei giornalisti – continua Bruttin – è garantita dal diritto internazionale, eppure più di duecento di loro sono stati uccisi dalle forze israeliane a Gaza negli ultimi due anni. Dieci anni dopo l’adozione della Risoluzione 2222 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che protegge i giornalisti in tempo di conflitto, l’esercito israeliano ne sta violando l’applicazione». Ed infine un appello, con il quale Reporter Senza Frontiere chiede una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per garantire che questa risoluzione venga finalmente rispettata e che vengano adottate misure concrete per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, chiedendo nuovamente che si consenta il libero accesso a tutti i giornalisti alla Striscia. Sempre più forte si alza intanto la voce dei manifestanti israeliani, che continuano a chiedere di cessare la guerra e di liberare i venti ostaggi ancora nelle mani di Hamas. La preoccupazione dell’opinione pubblica è che dopo l’annuncio del governo di voler dar corso all’operazione di occupazione di Gaza City, l’esercito ritenga necessaria una aliquota aggiuntiva di riservisti, da richiamare alle armi per occupare i diversi fronti aperti con questo conflitto (oltre al cuore della Striscia anche a nord verso il Libano, nelle alture del Golan e in Cisgiordania), aumentando quindi il rischio di ulteriori morti tra le fila israeliane. Le famiglie dei rapiti hanno incontrato nei giorni scorsi una delegazione di senatori democratici statunitensi. «Condividiamo il vostro sentimento e la preoccupazione che riportarli a casa non sia la priorità del governo Netanyahu – ha dichiarato il senatore del Maryland Chris Van Hollen -. Molti americani hanno la profonda sensazione che il governo Netanyahu abbia perso la sua bussola morale».

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