CHIUDERE CASA POUND

di Giada Fazzalari

Che lo sgombero dell’edificio di via Leoncavallo a Milano non potesse essere ritardato ancora a lungo è comprensibile: si tratta di una proprietà privata, con un valore economico che, negli anni, si è moltiplicato; pretendere oggi di continuare a tollerare un’occupazione senza titolo, pur con tutte le connotazioni sociali, e anche i valori che aveva acquisito nei decenni, era impossibile sia per lo Stato che per il Comune, soprattutto a fronte della sentenza civile che aveva condannato lo Stato a risarcire la proprietà per il ritardo nello sfratto, al prezzo di trecentomila euro l’anno. Fatta questa premessa, tuttavia, restano da chiedersi alcune cose: il Comune di Milano e il suo sindaco Sala, che non possono non riconoscere la positività della storia del centro sociale, cosa hanno fatto, visto che l’epilogo consumatosi era scritto da tempo o, comunque, cosa faranno per preservare il patrimonio sociale e culturale che tra quelle mura si è accumulato, portandosi con sé i sogni e le notti di generazioni di ragazzi? E lo Stato, in particolare il premier Meloni e il ministro Piantedosi, cosa faranno per mostrare all’Italia che la loro doverosa tutela della legalità sia veramente imparziale e uguale per tutti? La domanda è legittima perché il ministro, dopo lo sgombero del Leonka, è stato interpellato dalla stampa in relazione a un’altra occupazione illegale pluridecennale politicamente connotata, quella dell’edificio di via Napoleone III a Roma in cui si è insediata abusivamente dal 2003 Casa Pound, movimento di estrema destra, con un danno per il demanio pubblico, che ne è proprietario, di 4,5 mln di euro. E l’ineffabile Piantedosi ha risposto che anche Casa Pound è nella lista delle occupazioni abusive da sgomberare e “prima o poi” sarebbe venuto anche il suo turno. Ecco, in quel “prima o poi” c’è tutto l’arbitrio del potere, che con la sbandierata legalità non ha niente a che vedere. Anche su Casa Pound, come sul Leoncavallo, la magistratura si è espressa, questa volta quella penale, condannando quindici loro esponenti, con in testa il leader Gianluca Iannone, a due anni di reclusione per occupazione abusiva, stabilendo che Iannone e camerati avrebbero potuto permettersi di pagare l’affitto come qualsiasi altra formazione politica, ma hanno trovato più comodo occupare abusivamente un edificio pubblico e difendere a oltranza quell’atto illegale. Difficile scacciare il sospetto che, con la destra al governo, quel “prima o poi” significhi prima sgomberiamo occupanti abusivi di sinistra e poi, in un “poi” indefinito e remoto, forse sgombreremo gli occupanti abusivi di destra. Uno strabismo già visto, precisamente nel 1921. Speriamo che porti meglio di allora. Anche perché, che legalità è quella che ai “nemici” si applica e per gli amici si interpreta? Chiudere Casa Pound, resta comunque un tema da affrontare. La domanda è: in modo speculare, sul Leonka e su Casa Pound, si gioca una partita politica più grande? Il primo ha un peso specifico nella storia culturale di Milano, il secondo un movimento neofascista. “A pensar male si fa peccato ma molto spesso ci si azzecca”, avrebbe detto qualcuno.

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