di Stefano Amoroso
Il vertice della Nato del 24-26 giugno scorso ha messo in chiaro alcune cose. Prima di tutto: in Occidente non esiste, al momento, nessuna alternativa all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Ergo, tutte le politiche per la sicurezza in questa parte del mondo la vedranno protagonista, a meno che i suoi membri non decidano di mandarla in soffitta. Il che sarebbe un azzardo notevole sia per gli Stati Uniti, il partner più influente e potente dell’Alleanza, perché non è per nulla scontato che diversi Paesi Nato, soprattutto ad Est, ma anche sul fronte Sud, siano disponibili a continuare a difendere i valori e gl’interessi occidentali anche fuori dalla Nato e non vengano, per così dire, ammaliati da altre sirene. Tuttavia neanche ai maggiori Paesi europei conviene rompere l’alleanza perché, finché questa esiste, gli Stati Uniti possono protestare quanto vogliono, ma non possono abbandonare i loro storici alleati né, di conseguenza, disimpegnarsi dai fronti comuni. Il secondo aspetto che è emerso chiaramente a L’Aia è che l’Europa ha finalmente deciso di diventare grande e di spendere di più per la propria sicurezza. La Germania, storicamente restia a rafforzare le proprie forze armate, dopo aver perso due guerre mondiali, è ora impegnata a dotarsi di uno dei più forti eserciti europei del futuro. La decisione di Berlino, che in altre epoche avrebbe tolto il sonno alle diplomazie di mezzo mondo, oggi va salutata con favore perché un grande Paese democratico come quello tedesco, se decide di contribuire attivamente alla promozione dei suoi valori ed alla difesa dei suoi interessi nel mondo futuro, lavora per tutti noi. La consapevolezza, però, da sola non basta. La Nato deve cambiare per poter affrontare le sfide del futuro che sono sempre più ibride e che provengono da diversi fronti. Lo dimostra l’attuale crisi tra Israele e l’Asse della Resistenza guidato dall’Iran. La minaccia di colpire i traffici marittimi attraverso due stretti fondamentali per il commercio mondiale, come quello di Hormuz ed il Badel Mandeb che divide il Mar Rosso dal Golfo di Aden, ne è una chiara dimostrazione: più gli iraniani ed i loro alleati saranno tenuti lontani da questi stretti e la minaccia al traffico mercantile sarà ridotta entro limiti accettabili, e più sarà al sicuro la crescita mondiale. Un altro punto fermo, emerso chiaramente a L’Aia, è che siamo in grave ritardo. Il campanello d’allarme era già suonato dopo il fallimento della campagna militare americana e dei suoi “volenterosi” in Iraq, ma è rimasto inascoltato. Al punto che c’è stata addirittura una sorta di replica in Afghanistan, che è stata in assoluto la campagna militare più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti, ed una delle più controproducenti e fallimentari. Il risultato è che, dopo il fiume di denaro speso a Kabul e dintorni, e le tante vite umane perse, il Paese asiatico è stato riconsegnato ai talebani, che ora lo controllano molto meglio rispetto al 2001. Da questo punto di vista, dobbiamo sperare che l’attuale supporto americano all’iniziativa militare israeliana in Iran non si traduca in un’altra guerra a-strategica che è, per definizione, impossibile da vincere. Se l’Europa si fosse mossa venticinque anni fa, quando c’erano tutti i segnali del mutamento in atto, probabilmente non saremmo arrivati a questo punto. Ma tant’è: inutile piangere sul latte versato. Tra i numerosi rischi e danni collaterali che questa guerra porta con sé, c’è quello di un aumento incontrollato delle quotazioni di petrolio e gas. Il che si tradurrebbe in inflazione che peserebbe sul carrello della spesa del contribuente medio. Si poteva prevedere quello che sta succedendo? Con un po’ di sforzo d’immaginazione si, i segnali c’erano. E allora, perché non correre ai ripari, approvando una strategia nazionale per l’energia che ci renda meno dipendenti dalle fonti fossili, a cominciare da quelle straniere? Altri Paesi, che pure sostengono Israele e l’Ucraina come fa l’Italia, hanno cominciato a cambiare strategia energetica alcuni anni fa. Un esempio su tutti è la Germania. Per questo, oggi, il Cancelliere Merz può dire che “Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi”, riferendosi al tentativo di sventare la minaccia atomica degli ayatollah. Sull’affermazione del Cancelliere si può discutere quanto si vuole, ma indubbiamente la Germania ha appreso la lezione dell’Ucraina ed ha deciso di diventare sempre più autosufficiente dal punto di vista energetico. Quindi, oggi, Merz ha le spalle coperte quando affronta le crisi internazionali. Ma l’Italia dell’eterno rinvio e dell’arte del galleggiare sui problemi, anziché affrontarli in maniera risolutiva, può dire altrettanto? Ad oggi, purtroppo, no.