Intervista al direttore di Fanpage.it Francesco Cancellato, di Giada Fazzalari
Lo spyware israeliano Graphite, prodotto da Paragon, è un programma che, vale la pena di ricordarlo, viene venduto solamente ai governi di alcuni Paesi, tra cui l’Italia. Con questo, sono stati spiati, con un’intrusione nei loro dispositivi, due giornalisti di Fanpage.it, il direttore Francesco Cancellato e il caporedattore Ciro Pellegrino, i membri della Ong Mediterranea Saving Humans Luca Casarini, Giuseppe Caccia e don Mattia Ferrari, l’attivista olandese Eva Vlaardingerbroek e ora anche Roberto D’Agostino, fondatore di Dagospia. Sul piano giudiziario la questione prosegue relativamente spedita (le procure di Roma e Napoli stanno indagando con il coordinamento della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo). La politica un po’ c’è, un po’ tace, un po’ fa spallucce. In aula al Senato, la scorsa settimana, Renzi ha chiesto conto al presidente Meloni. Lei ha fatto sapere di “rispondere alle questioni davvero importanti”. La chiave, forse, è in quella frase distratta e liquidatoria. Questo è un governo che non si occupa di un Paese dove i giornalisti vengono spiati. “A pensar male si fa peccato ma molto spessi ci si azzecca”, recita un vecchio adagio.
Il Caso Paragon si è allargato e ora coinvolge sette persone tra cui tre giornalisti. Un fatto gravissimo che sembra però non aver scandalizzato l’opinione pubblica. Come commenti?
«Probabilmente per l’opinione pubblica sono vicende lontane e complicate. E un po’ c’è sempre l’idea per cui se non hai fatto nulla di male, che problema c’è a essere spiato? Quando mi dicono di sì, rispondo: prova a darmi in mano il tuo telefono, e dammi le password per entrare ovunque e leggere tutto. Nessuno di noi, o quasi, permetterebbe una cosa del genere nemmeno al suo miglior amico. Ecco: immaginatevi cosa voglia dire scoprire che la tua intimità è in mano a qualcuno che può usarla per rovinarti il lavoro, o la vita. Oggi tocca a me, a Ciro Pellegrino, a Roberto D’Agostino. Ma le tecnologie maturano, costano sempre meno. E se facciamo passare il principio che si può spiare impunemente, ci condanniamo tutti a essere spiati. Indietro non si torna mai».
Il Presidente del Consiglio Meloni, intervenendo in Senato, ha ritenuto di non rispondere nel merito. Che idea ti sei fatto?
«Giorgia Meloni ha aspettato sei mesi per non dire una parola su tre, forse quattro, giornalisti italiani spiati con un’arma in uso ai servizi segreti italiani, senza nessuna autorizzazione, non si sa bene da chi. E l’ha fatto dicendo che lei “risponde solo alle questioni importanti”. Credo che il tutto si commenti da solo».
Secondo te perché anche i giornali parlano poco di quello che è stato chiamato un “Watergate italiano”?
«Perché sono argomenti difficili, che non tirano. Perché sono questioni delicate e toccare i servizi d’intelligence è sempre rischioso. Perché forse non si vuole imbarazzare troppo il governo. Però lasciami dire anche che ci sono tanti giornali e tante trasmissioni televisive che sul tema ci sono state. Presenti esclusi, penso a Repubblica, Fatto Quotidiano, Domani, ma anche a trasmissioni come Piazza Pulita, Aria che Tira, Otto e Mezzo. E vorrei ringraziare anche la Federazione della Stampa per il sostegno che ci ha dato, così come i tanti colleghi della stampa estera che hanno scritto sul tema. Aggrappiamoci a quel che c’è, più che puntare il dito su chi non c’è. Altri ci seguiranno, se andiamo avanti».