di Alessandro Silvestri
Passati i fumi delle polemiche scaturite dalla “non vittoria” peraltro annunciata dei Referendum, una prova di forza voluta principalmente dall’area “massimalista” dell’opposizione, prova alla quale non ci siamo tuttavia sottratti, come ha ampiamente sottolineato il segretario del partito, Enzo Maraio, anche sulle pagine dell’Unità. Si ritorna dunque alla quotidianità e alla normale amministrazione dei fatti politici nazionali, anche se è il piano internazionale a fornire in questi giorni le maggiori preoccupazioni. Ogni volta che si perdono le elezioni nazionali, è solitamente da quelle municipali e regionali, che parte la riscossa. È quasi un teorema codificato ormai, adottato tanto dalla segreteria PD che da Landini: “abbiamo preso più voti della coalizione Meloni nel 2022”. Questo in sostanza il mantra diramato agli organi di stampa, all’indomani del flop referendario. Menomale appunto che i segnali provenienti dai territori continuano ad essere positivi e incoraggianti. In autunno saranno infatti altre sei regioni ad andare al rinnovo dei consigli e dei presidenti: Veneto, Valle d’Aosta, Toscana, Marche, Campania e Puglia; dove potrebbe essere possibile conquistare 5 Regioni su 6, dopo il successo di molti comuni passati quest’anno al centrosinistra, da Genova a Nuoro. Mentre continuiamo a perdere in realtà come Matera, dove i 5 Stelle si ostinano ad andare da soli, nonostante le percentuali perse siano da teorema tafazziano. Anche leggendo i dati sulla popolazione residente, appare evidente il ribaltamento di campo: nelle città che sono andate al voto, ora il centrosinistra amministra una popolazione di circa 1,3 milioni di persone, in aumento rispetto ai quasi 800 mila prima delle elezioni comunali. Il centrodestra è sceso da poco più di 700 mila a meno di 300 mila. Se i dati dalla periferia sono confortanti, è sulla scena nazionale che la possibile coalizione che sfiderà la Meloni tra un paio d’anni, deve ancora trovare la quadra. Troppe idee diverse in politica estera, e la compattezza contro il dl “Sicurezza” e su pochi altri dossier potrebbe a medio termine, non essere sufficiente a fare da collante definitivo. Anche sulla questione pace e riarmo le posizioni sono ancora troppo distanti, la manifestazione di oggi, “Stop Rearm Europe. No guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo” di Roma, promossa da associazioni e sindacati e sostenuta da Conte, AVS e schleiniani, potrebbe non contemplare la parte riformista del PD e gli altri della gamba riformista della coalizione in nuce. Posizioni legittime intendiamoci, buone le ragioni per esserci ma anche per non esserci. Il problema vero, i nodi che immancabilmente verranno al pettine, comincerà al momento della stesura del programma, e soprattutto, in caso di vittoria (che i numeri non escludono affatto), nella gestione della partita “Esteri” del Governo progressista prossimo venturo. E ci sarebbe anche un’altra questione dirimente da sistemare: quella della non trascurabile differenza tra giustizialisti e garantisti della coalizione. Prendendo anche gli ultimi casi giudiziari emersi, quello del presidente della Calabria Roberto Occhiuto (che è anche vice di Tajani in FI) dove l’atteggiamento della Meloni e dei suoi, si è allineato a mano a mano con quello garantista di Forza Italia, difendendo coloro che incappano in guai giudiziari, ove possibile, fino al terzo grado (come dovrebbe essere in un Paese realmente civile) Legge Severino permettendo; mentre nel caso analogo della sindaca di Prato, Ilaria Bugetti del PD, si è avuta la sensazione che al di là delle dichiarazioni di rito di molti esponenti, tra i primissimi Eugenio Giani, i dem non siano così granitici, mentre i 5 Stelle hanno già preso le distanze facendo sapere che ritireranno la loro assessora, unico comune toscano tra l’altro, dove erano alleati del PD. Anche quelli di AVS (esclusi l’anno scorso dalla giunta) stanno brillando per il loro silenzio. C’è da sottolineare che Lega e Fratelli d’Italia locali, non siano stati in questo caso così garantisti come lo sono diventati per i propri colleghi, una volta al comando del Paese. Insomma, a pochi mesi dalla partenza della fase pre elettorale, ancora di questo “Campo largo” o “Campo democratico” come lo definiscono altri, non si riescono a definire ancora bene i contorni. A parte il blocco PD-5S-AVS che a livello nazionale per adesso, marcia (quasi) compatto ma a livello locale no. Mentre la gamba riformista, escluso la Toscana dove ha lanciato prima di tutti una lista di sostegno a Giani (ma non ci sono i renziani), che continua vistosamente a zoppicare per gli attriti tra Carlo e Matteo. E pensare che questi due hanno avuto per parecchio tempo in mano le sorti del Paese, e adesso non sanno come superare l’insostenibile pesantezza dei rispettivi ego, nonostante la dura prova dalle cocenti sconfitte subite. Il prossimo obiettivo è vincere le regionali, ma subito dopo i tatticismi e le svolte a U debbono cessare. Anche perché c’è il rischio concreto che la mossa del cavallo, si trasformi in quella del somaro. Last but not least, bisognerà iniziare a discutere su quale tipo di riformismo guardare, perché quello italiano, al di fuori della sua matrice autenticamente socialista, è stato spesso più una sorta di malattia con febbre alta, quella che Giovanni Sartori definiva “riformite”.