PIENI POTERI

di Giada Fazzalari

Chi resiste passivamente e si limita a non seguire gli ordini impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza” in un carcere può essere condannato ad altro carcere. Chi protesta pacificamente o con un sit-in pacificamente si oppone alla dispersione dei manifestanti, potrà essere arrestato e incarcerato. Intanto, accanto alle forze dell’ordine che fanno il proprio lavoro in modo serio, i picchiatori in divisa (che ci sono, purtroppo, eccome: ricordarsi di Stefano Cucchi o della scuola Diaz di Genova) quando saranno processati per i loro abusi non potranno più essere sospesi dal servizio. Al netto delle suggestioni e al netto dell’esasperazione dei toni di chi vede dietro l’angolo l’eterno ritorno del fascismo, un fatto è chiaro: il governo del manganello sta facendo dell’Italia un bivacco di manipoli che, al contrario di quanto ripetuto da Meloni, Piantedosi, Nordio, Salvini, Delmastro e Donzelli, sarà molto meno sicuro di prima, essendo nel contempo i suoi cittadini molto meno liberi di quanto promette la Costituzione. Il decreto sicurezza del governo Meloni introduce quattordici nuovi reati, nove aggravanti di reati già contemplati dal Codice e aumenti di pena. L’impianto è securitario: soppressione del dissenso, limitazione della libertà di espressione, cpr e cannabis: la parola d’ordine è: reprimere. Non è tutto: l’abuso della decretazione d’urgenza nella materia penale (mancando il profilo di necessità e di urgenza) è quanto c’è di più antidemocratico in un Paese civile. Hanno cominciato bastonando i liceali a Pisa, e ora hanno preso un disegno di legge in discussione al Senato, lo hanno sottratto al dibattito parlamentare, lo hanno trasformato in decreto legge e lo hanno fatto convertire in legge manu militari. È il metodo violento, autoritario, sprezzante del Parlamento contro cui tuonò Matteotti alla Camera, votandosi al martirio dopo avere subito le stesse bastonate dei ragazzini di Pisa. Fanno impressione le parole pronunciate, in un’intervista a questo giornale, di chi da trentacinque anni segue da vicino, come cronista parlamentare, i governi e i parlamenti che si sono susseguiti. Fa notare Fabio Martini: «Il testo scritto dal governo non è stato fatto toccare dal Parlamento. Se questa procedura dovesse ripetersi, saremmo ad un passo dalle democrature, quell’impasto di democrazie e dittature nelle quali puoi votare (formalmente) ma il potere è concentrato nell’autocrate». C’è da chiedersi se siamo già a questo. O se la strada verso i “pieni poteri” sia così breve che rischiamo di non accorgercene neppure. A centouno anni dall’assassinio di Matteotti, non possiamo dimenticare che la parola libertà ha ancora senso.

 

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