Referendum: la sinistra si riconcilia con il suo elettorato, la destra alza i muri

di Stefano Amoroso

Ci sono sconfitte che fanno male, altre che segnano la fine di un’epoca, ed altre ancora che indicano che è in atto un cambiamento, e preludono a future vittorie. Le parole a caldo del Segretario del Psi, Enzo Maraio, non appena arrivati i risultati della consultazione referendaria, sono state chiare: “Chi esulta, in queste ore, sul mancato quorum festeggia sulle preoccupazioni di tanti lavoratori, distrugge i sogni di tanti giovani che vivono e lavorano in Italia. Compito del centrosinistra è non arrendersi, lavorare perché questi temi siano attuali nell’agenda politica. Per avere più forza sarà però necessario parlare il linguaggio della chiarezza. Qualcosa non è andato, è stata una sconfitta. Riconoscerlo è il primo passo per essere all’altezza delle aspettative”. Come sappiamo, tra domenica 8 e lunedì 9 giugno il 30,6 per cento degli elettori è andato a votare per i referendum sul lavoro, oltre che su quello per la cittadinanza. Hanno trionfato i sì, com’era stato ampiamente previsto ma il quorum del 50% degli elettori più uno non è stato raggiunto. Pertanto, da un punto di vista tecnico, si tratta di una prova referendaria priva di effetti concreti. Tuttavia, sbaglia chi li considera un fallimento da cui non ci si può riprendere. Per diverse ragioni. Prima di tutto, per una mera questione di numeri: i lavoratori dipendenti in Italia, ovvero quelli realmente interessati a quattro dei cinque quesiti, rappresentano il 31,2% della popolazione. Tradotto in numeri assoluti, significa più di 18,6 milioni di elettori. Se sono andati a votare quasi 15,6 milioni di elettori, vuol dire che una percentuale superiore all’83% dei lavoratori dipendenti italiani è interessata ai quesiti sul lavoro: il tema interessa, eccome se interessa. E una percentuale elevatissima di coloro che hanno votato, tra l’87 e l’89 per cento, hanno scelto il sì; quindi sono a favore dell’abrogazione delle leggi attualmente in vigore. È un numero consistente di lavoratori ed una base più che sufficiente per costruirci sopra una proposta politica di sinistra che possa ribaltare l’esito delle scorse elezioni politiche. Anche perché dall’altra parte, assumendo la neutralità per molti versi benevola dei pensionati (un esercito che rappresenta il 27,5% della popolazione italiana, spesso ex dipendenti e quindi presumibilmente non contrari a far avere maggiori diritti a figli e nipoti), c’è ben poco: l’esercito delle partite Iva che portò in trionfo Berlusconi sia nel 1994 che nel 2001 è ormai disperso, frammentato ed in calo, dopo anni di bassa crescita, aumento della pressione fiscale e, soprattutto, dell’inflazione. Certamente non devono essere dimenticati i 4,9 milioni di lavoratori che hanno votato contro i quesiti referendari, o che si sono astenuti: di questi tempi, con l’astensionismo imperante, chi riuscisse a coagulare il consenso di questa fetta importante di lavoratori avrebbe il vento in poppa, elettoralmente parlando. Tuttavia, ad oggi, pur sapendo molto bene cosa non vogliono questi lavoratori, non sappiamo cosa vogliono. Se c’è qualcuno che può costruire ponti tra i tre quarti dei lavoratori che vogliono un cambiamento, ed il restante quarto, è la sinistra. Quest’ultima comincia finalmente a rimettersi in carreggiata e ad emendarsi da anni di divagazioni in campo liberista, alla ricerca di improbabili terze vie e terzi poli che si sono rivelati dei vicoli ciechi, o quanto meno dei sentieri assai tortuosi e pieni di pericoli. Forse solo una leader nata in piena perestrojka gorbacioviana, e che al momento della caduta del muro di Berlino aveva 4 anni e mezzo (Elly Schlein è nata il 4 maggio del 1985), poteva riuscire a riportare la sinistra nel suo alveo naturale dopo una quarantennale peregrinazione nel deserto. Bene ha fatto il Psi guidato da Enzo Maraio, pur tra i dubbi ed i timori di qualcuno, ad appoggiare con piena convinzione i referendum sul lavoro. Anche per i socialisti il tema non era cambiare le leggi di Renzi (se anche, per miracolo, si fosse raggiunto il quorum, mancava la maggioranza politica che, in Parlamento, potesse approvare delle leggi in linea con referendum): il senso dell’impegno del Psi era riconnettere il partito più antico d’Italia con la sua storia e le sue origini operaie. Missione compiuta, come si suol dire: la sinistra esce più compatta di prima dalla prova referendaria, ed i suoi leader sanno che non dovranno temere la nascita di movimenti o partiti radicali che gli sottraggano significativi consensi a sinistra. Inoltre sanno anche che l’opinione pubblica italiana, dopo anni di bassa crescita, precariato ed aumento della povertà, è molto meno disponibile del passato a farsi incantare dalle sirene liberali e liberiste. Infine, una volta di più abbiamo avuto la prova che l’attuale governo, a cominciare dalla sua leader, non ha una vera e propria ricetta economica per il Paese e sul referendum ha preferito gioire sguaiatamente, dopo aver invitato all’astensione. Di questo passo, stretto tra una crescita economica sempre più asfittica, un’inflazione che si mantiene a livelli elevati e salari tra i più bassi d’Europa, prima o poi il governo dovrà svelare il suo bluff e mostrare a tutto il mondo la sua incapacità a governare il Paese.

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