Referendum 8 e 9 giugno: il diritto al futuro si decide nell’urna

di Stefano Amoroso

Nei giorni 8 e 9 giugno gli elettori italiani saranno chiamati ad esprimersi su 5 referendum. Uno di questi, come si sa, riguarda la cittadinanza. Si chiede di riconoscere un percorso più breve (5 anni) e facilitato a chi vive stabilmente in Italia e vuole restare nel nostro Paese. La legge attuale è una delle più restrittive d’Europa: essendo basata sul vecchio concetto dello “ius sanguinis”, privilegia chi ha un antenato italiano rispetto a chi vive stabilmente in Italia, a prescindere da dove provengano i suoi antenati. Si arriva così al paradosso, da un lato, di concedere la cittadinanza a stranieri che non hanno quasi mai vissuto in Italia, non intendono farlo e non conoscono né la lingua, né usi e tradizioni del nostro Paese. Dall’altro lato, invece, si nega la cittadinanza a chi è nato e cresciuto qui, parla italiano come prima lingua, pensa, veste e mangia all’ italiana e, soprattutto, immagina il suo futuro in questo Paese. Far aspettare 10 anni queste persone, e non consentire ai minorenni di presentare domanda di cittadinanza prima del compimento del diciottesimo anno di età, significa, coi tempi elefantiaci della burocrazia italiana, concedergli la cittadinanza non prima del compimento del ventunesimo anno d’età: una crudeltà ed anche uno spreco, visto che il neo maggiorenne “straniero”, non volendo perdere anni preziosi per lavorare ad un buon livello, o per studiare all’università, andrà all’estero, magari in un altro Paese della Ue, spesso restandoci anche dopo aver completato gli studi. In questo modo l’Italia, dopo aver finanziato gli studi scolastici dei giovani italiani nati da genitori stranieri, li perde a favore di Paesi concorrenti, dove questi giovani donne e uomini perfezionano la loro formazione, lavorano, pagano le imposte e fanno nascere i loro figli. Il centrodestra controbatte che questo è il prezzo da pagare per difendere il valore dell’identità italiana. In realtà, però, sembra piuttosto che si difendano dei ben radicati privilegi e delle storture socio economiche, che consentono di creare una massa di “stranieri soggiornanti”, in pratica dei cittadini di serie B, da sfruttare per svolgere lavori pesanti e mal pagati. Oppure per lavorare in totale assenza dei requisiti minimi di sicurezza. L’Italia presenta contemporaneamente sia una delle legislazioni più restrittive che una delle più permissive in tema di concessione della cittadinanza. Il discrimine è solo uno: avere o meno degli antenati nati in Italia e con cittadinanza italiana. Se si possiede questo requisito allora basta fissare la residenza in Italia anche solo per pochi mesi, per ottenere la cittadinanza italiana e, conseguentemente, europea. Anche se ultimamente questa possibilità è stata ristretta a chi può dimostrare di aver avuto almeno un nonno italiano, resta il fatto che negli anni passati sono state concesse centinaia di migliaia di cittadinanze a persone senza alcun legame, o con un legame molto flebile, con l’Italia. I neo cittadini, come viene rilevato da tutte le statistiche, una volta avuta la cittadinanza tornano nel loro Paese di origine, o si spostano altrove in Europa. In questo modo, l’unico settore economico che si mette in moto è quello degli affitti di breve termine. Nello stesso tempo, a causa delle restrizioni imposte ai nati in Italia da cittadini stranieri, non si contano i talenti e professionisti che, dopo essersi formati in Italia, vanno ad arricchire il Pil e la demografia di altri Paesi. Non c’è che dire: davvero un grande affare, motivato dalla più stupida ideologia di questa destra e da una difesa dell’identità italiana (qualsiasi cosa questo voglia dire) che ci impoverisce e ci lascia indietro. L’Italia, infatti, è uno dei Paesi che sta invecchiando più rapidamente in tutta Europa. Siamo in compagnia di Paesi come la Grecia, che non a caso hanno una legislazione altrettanto restrittiva in tema di cittadinanza. Se gli elettori italiani non cambieranno lo stato delle cose, con il voto dei prossimi 8 e 9 giugno, entro pochi anni in Italia mancheranno 3,5 milioni di persone in età lavorativa e ci saranno due pensionati per ogni lavoratore, con conseguenze facilmente immaginabili. Poi c’è una ricchezza che non viene immediatamente misurata dal Pil: si tratta della ricchezza culturale, della creatività e della crescita spirituale. La storia c’insegna che sono proprio le società multietniche e multi religiose quelle che innovano di più e crescono più rapidamente ed in maniera più omogenea. A patto, naturalmente, di far sentire tutti accolti, ben voluti e parte di un futuro comune. È ovvio che non si può accogliere chiunque e d’altra parte c’è chi non vuole realmente integrarsi: ma il referendum non apre alla concessione della cittadinanza indiscriminata che crea caos, crisi di rigetto e ghetti. Restano i filtri dati dal rispetto delle leggi, dalla conoscenza dell’italiano e dal possesso di un reddito sufficiente a mantenere sé stessi e la propria famiglia per almeno tre anni. Dunque nessuno ha intenzione di trasformare la cittadinanza italiana in un foglio di carta senza nessun valore. Nello stesso tempo, però, non può essere solo una questione genetica e di diritti acquisiti dagli avi.

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