di Giada Fazzalari
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna, tra i più intelligenti e lucidi intellettuali italiani, un maestro della scienza politica, in questa intervista all’Avanti! della domenica motiva le ragioni dei suoi 5 Sì ai Referendum, offrendo il suo punto di vista sull’attuale situazione politica nel nostro Paese. Pasquino è autore di un recente, prezioso saggio sul potere e le ambiguità delle riforme: “In nome del popolo sovrano”.
Professor Pasquino, andrà a votare al referendum su lavoro e cittadinanza l’8 e il 9 giugno?
«Certamente sì, sono sempre andato a votare, sono un elettore costante, permanente, convinto e costituzionale. Poiché l’esercizio del voto, come sta scritto nell’articolo 48 della Costituzione, è un dovere civico, sono un buon cittadino».
E cosa voterà l’8-9 giugno, professore?
«Voterò convintamente sì al referendum che abbassa il numero degli anni per diventare cittadini italiani perché è una questione di pura e semplice civiltà. E perché la legge che disciplina oggi il mercato del lavoro non è una buona legge, deve essere migliorata. Certo, si potrebbe dire che bisogna migliorarla in Parlamento, ma con questo Parlamento nessun miglioramento è possibile, quindi proviamo a migliorarla abrogando alcuni pezzi della legge esistente».
Tra i più importanti quesiti c’è quello sulla sicurezza sul lavoro…
«I subappalti sono uno dei modi per consentire la presenza della criminalità organizzata nel mercato del lavoro».
Un passaggio sul quesito che abbrevia gli anni per richiedere la cittadinanza. C’è una narrazione della destra che vuole far credere ai cittadini che se dovesse passare ci sarà un’apertura indiscriminata ai migrati non regolari.
«Non è così. Si tratta di rendere più semplice e più rapido il procedimento di riconoscimento della cittadinanza a chi comunque dopo dieci anni già l’otterrebbe. Diminuirebbero a cinque e si faciliterebbe l’inserimento sociale a cittadini che sono già italiani e attendono soltanto il passaggio burocratico».
Cosa pensa del fatto che il Presidente del Consiglio Meloni abbia dichiarato che si recherà al seggio senza però ritirare le schede? Come l’ha interpretato lei?
«È un gesto spettacolare e mediatico, una sceneggiata. Va al seggio per fare due chiacchiere con gli scrutatori? Non ha senso. È un’operazione che cerca di distinguere sé stessa da altri che nettamente hanno invitato a non andar a votare, però non cambia la sostanza. È una vera furbata».
Il 25 aprile il Presidente della Repubblica Mattarella ha ripreso delle parole di Sandro Pertini, dicendo che la partecipazione al voto è “l’esercizio democratico che sostanzia la nostra libertà”. Il vicepremier Tajani e la seconda carica dello Stato La Russa hanno invitato i cittadini ad astenersi dal voto.
«Tra dire cosa fare e dire cosa NON fare, c’è sempre l’opzione di stare zitti. Le alte cariche dello Stato che suggeriscono l’astensione fanno qualcosa che trovo riprovevole. Mentre Tajani può anche dirlo, La Russa non avrebbe dovuto farlo. Giorgia Meloni, che usa l’escamotage di recarsi al seggio dove non ritirerà neppure le schede, mira ad ingannare gli italiani. È una manovra molto brutta che in realtà svilisce il senso della politica e della partecipazione politica».
Gli italiani come reagiranno di fronte alla chiamata al voto dei promotori del referendum?
«C’è una scarsa mobilitazione, che si somma al fatto che c’è una percentuale di elettori non votanti che è cresciuta nel tempo, non inesorabilmente e non inevitabilmente, ma è cresciuta. Poiché il 25% di italiani comunque non va a votare, impedire il raggiungimento del quorum è un gioco truccato».
Professore, a settembre sono tre anni del governo Meloni, qual è il bilancio che ne fa lei?
«Dal punto di vista dell’economia qualcosa ha fatto, ma poteva fare molto di più. Si vanta di alcuni risultati, ma sono al di sotto delle possibilità del Paese. Non ha saputo dare una vera sferzata all’Italia. Si vanta della sua presenza sulla scena internazionale, ma non ha una linea europea. Dal punto di vista spettacolare, ha fatto grandi viaggi, ha incontrato un sacco di capi di governo, ha fatto molte foto opportunity – io dico opportunistiche – da far consumare all’elettore italiano, però concretamente non ha ottenuto quasi nulla. Ha una posizione straordinariamente ambigua. Vorrebbe stare con Trump ma sa che non può. E però non riesce a influenzare l’Europa. Più che pontiere in realtà, è una naufraga tra l’Europa e gli Stati Uniti, in mezzo all’Atlantico. Galleggia».
E l’opposizione cosa deve fare per diventare alternativa di governo?
«Questa è la famosa domanda da cento milioni di dollari. L’opposizione sa benissimo che sta sbagliando. Un’opposizione che si disunisce perde di sicuro. Non è detto che se si unisce vince, però se non si unisce non vince. Quindi in vista delle elezioni nazionali o trova punti su cui essere d’accordo, oppure perderà di nuovo, causandomi un po’ di dolore, ma, soprattutto, danneggiando chi ha davvero bisogno di una buona politica».