di Lorenzo Cinquepalmi
Nel dibattito in corso in Europa sul nuovo assetto geopolitico continentale e mondiale, conseguente al disimpegno degli Stati Uniti imposto dalla nuova amministrazione Trump, uno dei temi più esplorati pare essere il posizionamento che assumerà l’Italia, a cui il governo Meloni ha imposto relazioni e intenzioni assai dissonanti rispetto al suo tradizionale europeismo. Siamo il Paese di Spinelli, Rossi e Colorni, di quel Manifesto di Ventotene da cui la Presidente del Consiglio si è clamorosamente dissociata in parlamento, di De Gasperi fondatore dell’embrione di Europa unita. Una delle tre grandi nazioni europee, quelle che hanno voluto la Comunità Economica Europea, con l’appendice del Benelux. Un Paese di quasi sessanta milioni di abitanti, seconda manifattura del continente e terza economia. Siamo il Paese che, se abbandona l’ideale unitario per schierarsi con i vari Orban dell’est, rischia di minare seriamente l’equilibrio continentale. Questo leggiamo sui principali organi di stampa dei più importanti Paesi europei, da ultimo Le Monde. Quello che sta alla radice della disinvoltura con cui tratta il tema europeo una leadership di destra marcata, inedita per l’Italia, quale è quella di Meloni e dei suoi giovani fascisti, è indicato chiaramente in un intervento recente di Sabino Cassese sulle pagine del Corriere della Sera: alla politica italiana manca ormai del tutto la spina dorsale costituita dai partiti organizzati di massa che hanno dominato la scena europea del ‘900 e che, seppure meno possenti di un tempo, tuttavia resistono ancora nei maggiori Paesi europei. Cassese ribadisce e attualizza una verità acquisita, che fa piazza pulita delle illusioni che animarono l’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica italiana: non c’è politica senza partiti. Il che significa, intanto, che quella di Meloni e soci non è politica, ma navigazione a vista guidata dalla risultante dei tornaconti delle diverse compagnie di ventura che scorrono il campo elettorale. E che laddove ci si deve confrontare con organizzazioni la cui matrice non è rappresentativa ma che sono comunque attive in politica, come tanti altri corpi intermedi della società, o addirittura con altri Stati e soggetti comunque attivi sugli scenari internazionali, l’evidente mancanza di elaborazione teorica e dialettica tipica delle compagnie di ventura rende il governo italiano incapace di assumere le iniziative che, sia in campo interno che sul terreno della politica estera, competono a un Paese il cui peso economico e geostrategico è ancora di primissimo livello. Se questa politica povera di idee, asfittica di progetti, priva di coraggio ci ha precipitato dal ruolo di quarta economia mondiale raggiunto quarant’anni fa, questo non significa che, a dispetto di una classe politica e di una classe dirigente sempre meno all’altezza, la massa sociale ed economica dell’Italia non sia ancora quella di un potenziale grande protagonista della scena. Tornando a Cassese, allora, c’è da chiedersi come restituire all’Italia un sistema in cui grandi partiti organizzati, popolari e di massa, dialettici e fecondi, ramificati e partecipati, si facciano carico dell’elaborazione di strategie e percorsi di crescita e di progresso in una costruttiva interlocuzione con gli altri corpi intermedi della società, che a differenza dei partiti, sono rimasti attivi: dal sindacato alla Chiesa, dalle conglomerate industriali e finanziarie agli apparati dello Stato. Per assurdo, se la condizione economica delle masse risulta vivere una fase di regresso che la riavvicina alle condizioni in cui le stesse masse vivevano quando determinarono la nascita dei partiti, nella violenta ostilità delle élite, il contesto attuale si presenta assurdamente opposto: la maggiore ostilità verso l’idea di partito come mezzo dell’esercizio e del condizionamento del potere, è ampiamente diffusa presso quei ceti che un secolo prima ai partiti affidarono i loro destini e la loro tutela. E per una sorta di contrappasso, i corpi sociali elitari e le organizzazioni più conservatrici che tradizionalmente avversarono i partiti di massa, potrebbero ora comprendere che della loro esistenza e del loro ruolo hanno bisogno, perché la società civile senza partiti, e di conseguenza il Paese fondato sulla stessa società civile, sono assai meno efficaci e competitivi. Un Paese senza ideali è un Paese senza idee. E un Paese senza idee è un Paese spento, destinato a una progressiva marginalizzazione. E così, entità secolari che avversarono i partiti al loro nascere: padronato, Chiesa, élite finanziarie, oggi potrebbero improvvisamente capire che uno stato moderno ha bisogno di plebi coinvolte e non più inerti, e che il miraggio di sedersi alla tavola del capitalismo coinvolge troppo poche persone per assurgere a ideale di massa. Eccola la missione dei convitati del nuovo Britannia: ridare alle masse una fede la cui mancanza rende l’intera società, l’intero Paese, forse l’intero continente, tremendamente più deboli e perdenti, restituendo ai partiti dimensione e ruolo.