di Marco Strada
Domenica 25 e lunedì 26 maggio i cittadini si recheranno alle urne per le elezioni amministrative nei comuni interessati delle Regioni a statuto ordinario. Domenica 8 e lunedì 9 giugno, in concomitanza con l’eventuale turno di ballottaggio delle amministrative, i cittadini sono chiamati a partecipare ai 5 referendum popolari abrogativi indetti su altrettanti quesiti in materia di disciplina del lavoro e di cittadinanza. Già in questa scelta risiede la malafede del governo che abbina il voto referendario al turno di ballottaggio che evidentemente riguarderà, per ovvie ragioni, un numero ridotto di elettori. Primo perché il secondo turno è previsto solamente per i comuni con più di 15mila abitanti, secondo perché anche in quelli che superano questa soglia non è detto che sia necessario il secondo turno di votazione. Da sottolineare però che in un momento in cui il diritto di voto e di scelta degli elettori è sempre meno esercitato, con le assemblee elettive sentite sempre più lontane, il referendum diventa un elemento essenziale di partecipazione attiva. Le scelte politiche e sociali incidono profondamente sul nostro presente e sul futuro delle prossime generazioni, è quindi più che mai fondamentale esercitare un diritto che è anche un dovere: quello di votare. I socialisti sostengono il Sì per tutti i quesiti. I primi quattro referendum riguardano norme sul diritto del lavoro mentre l’ultimo quesito sarà in materia di immigrazione e cittadinanza. Il primo quesito è per l’abrogazione del “contratto di lavoro a tutele crescenti”. Il secondo riguarda l’abrogazione parziale delle norme sulle piccole imprese con i licenziamenti e relativa indennità. Il terzo l’abrogazione parziale di “norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi”. Il quarto riguarda la sicurezza sul lavoro con l’abrogazione della norma sulla “esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore”. L’ultimo quesito è in materia di Cittadinanza per il “dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”. I referendum rappresentano uno degli strumenti più diretti di partecipazione democratica. Attraverso il voto, ogni cittadino può contribuire in modo concreto alle decisioni che riguardano il Paese. Scegliere di non votare, invece, significa lasciare che altri decidano per noi. L’astensionismo indebolisce la nostra democrazia. Quando a prevalere è il silenzio delle urne, a perdere è la sovranità popolare, quella stessa sovranità che la nostra Costituzione affida al popolo. Non possiamo permettere che l’indifferenza prenda il posto dell’impegno. La forza di una Repubblica si misura anche dalla partecipazione dei suoi cittadini. È per questo che suona particolarmente stonato l’invito da parte di cariche istituzionali a non recarsi alle urne facendo capire che manca la maturità necessaria per ricoprire ruoli di rilievo nelle istituzioni. Il Presidente della Repubblica ha recentemente ricordato che c’è la libertà e la democrazia, ma anche che la partecipazione politica e quindi il voto è la condizione affinché il Paese sia libero invitando così tutti a superare l’astensionismo. I referendum abrogativi su cui si voterà sono 5. Per la validità della consultazione referendaria popolare è necessario che si rechino alle urne almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto, così come stabilito dall’articolo 75 della Costituzione. A pochi giorni dal voto le polemiche non mancano e sono legate non tanto al merito ma al silenzio dell’informazione sul voto referendario. Un vero oscuramento da parte del servizio pubblico che non rispetta il diritto dei cittadini a un’informazione corretta e plurale. I dati Agcom dicono che la Rai ha dedicato solo lo 0,62% degli spazi al referendum ignorando così il diritto di essere informati correttamente tanto da suscitare le proteste dell’Usigrai, che parla di “un silenzio che fa rumore” per non “rendersi complici di chi sta chiedendo di non andare a votare: una opzione che punta ad affievolire l’esercizio della sovranità popolare, sancito all’articolo 1 della Costituzione”.