di Giada Fazzalari17
Mirella Serri è giornalista e scrittrice, docente di Letteratura e giornalismo presso l’Università La Sapienza di Roma. Da qualche settimana è in libreria il suo ultimo lavoro “Nero indelebile – Le radici oscure della nuova destra italiana” edito da Longanesi.
Questa destra al governo i conti con il proprio passato li ha fatti?
«Credo proprio di no. Non ci sono state delle prese di posizione nette di Giorgia Meloni, o di Ignazio La Russa per esempio, in occasione di manifestazioni con saluti romani e braccia tese, e mi riferisco anche all’ultima che si è tenuta a Dongo in occasione del 25 aprile scorso. Sono manifestazioni inaccettabili».
Nostalgia del fascismo?
«Io vedo una sorta di doppio livello. Da una parte non c’è una vera e propria condanna o presa di distanza dal fascismo. Ci sono poi delle critiche molto forti all’antifascismo con un mancato riconoscimento, per esempio, di sentenze come quella per la strage alla stazione di Bologna che fu opera di fascisti. Dall’altra, però, non vedo nostalgismi o revival».
Hai parlato di saluti romani e braccia tese. Abbiamo anche visto di recente, in una inchiesta di Fanpage, una “gioventù meloniana” pronunciare frasi antisemite e razziste. Come li giudichi, come veri e propri rigurgiti fascisti o come manifestazioni fuori dalla storia, grottesche?
«No, io di grottesco non ci vedo assolutamente nulla, c’è poco da ridere. Vedo persone che vogliono sentirsi unite da una simbologia, in una specie di consorteria, da una militarizzazione del pensiero politico. L’inchiesta di Fanpage faceva vedere che giovani che al mattino indossavano la felpa azzurra sul palco di Atreju, la sera avevano bisogno di riconoscersi in saluti neonazisti e in espressioni antisemite con la maglia nera. Tutto questo, ripeto, non lo trovo per niente grottesco ma pericoloso».
Fini con la svolta di Fiuggi aveva condannato quella storia. Ora abbiamo fatto un passo indietro?
«Sì, con Meloni abbiamo fatto un passo indietro. Lei rivendica valori ereditati dalla destra fascista, come il senso dell’onore, della fedeltà, della schiena dritta, ma in realtà non li rispetta. Per esempio lei ha tradito Fini, che è stato il suo pigmalione, che l’ha aiutata a crescere politicamente nominandola ministro; poi lei ha ottemperato al desiderio di Berlusconi di fondare un partito di estrema destra che non fosse un partito liberale e di destra moderata e moderna, per evitare che rubasse spazio. Quindi Meloni prima tradisce Fini, poi obbedisce a Berlusconi e poi tradisce anche quest’ultimo nella formazione del governo».
Meloni, come “indossa” questo armamentario valoriale? Farà una svolta più europea per assumere la leadership conservatrice e moderata?
«Questo dipende molto anche dal suo rapporto con Trump. Lei ha bisogno naturalmente di avere un rapporto con l’Europa. Ricordo che l’Europa ci ha dato i soldi del Pnrr che noi non riusciamo a mettere a terra».
E come si pone la Presidente del Consiglio nel suo rapporto con Trump?
«Trump è come fosse suo fratello maggiore, è una figura di riferimento dal punto di vista dei valori, penso all’immigrazione o della considerazione per esempio che ha dell’Europa. Trump preferirebbe non la formazione di una Unione europea unita sovranazionale, che sarebbe la linea di tendenza dell’Europa, ma preferisce un’Europa delle nazioni. La stessa cosa vale per Meloni. L’intesa con Trump è appunto sul piano dei valori».
Ci sono stati dei momenti della storia in cui l’Italia è riuscita ad essere amica dell’America ma non subalterna. Su questioni come il Medio Oriente e la politica estera in generale, che atteggiamento assume questo governo?
«Su Gaza e sull’Ucraina c’è un atteggiamento di grande subalternità di Meloni nei confronti di Trump. C’è stata una foto storica, qualche giorno fa, dei “volenterosi”, dei leader europei con Zelensky. Meloni non c’era. Perché aspetta le decisioni di altri. Sulla politica estera Meloni non è come Craxi che, invece, non aveva un atteggiamento subalterno».
Eppure si era detto che fosse un “ponte” tra Europa e Usa…
«Una affermazione che mi ha fatto un po’ sorridere fin dall’inizio. Trump parla tutti i giorni con Macron e con Starmer, ma non mi pare che abbia questa interlocuzione continua con il nostro governo».
È giusto questo urlare della sinistra al fascismo a ogni piè sospinto? Oppure forse dovrebbe cambiare atteggiamento e lasciarsi alle spalle una storia che andrebbe archiviata?
«Questa storia non va archiviata perché le manifestazioni con il braccio teso ci sono ancora. Mentre vengono prese le generalità della fornaia che espone un manifesto antifascista, non mi risulta che sia stato fatto lo stesso con i manifestanti di Dongo. Parlare di fascismo forse in questo momento storico è un po’ troppo generico, perché questa è una destra di nuovo conio. Le origini culturali di questa destra vengono anche dalle destre radicali che si sono formate in Francia e in Germania. Per esempio noi ci stupiamo moltissimo che vengano spesi tanti soldi e inutilmente per collocare pochissimi immigrati negli hub in Albania. Non mi stupisco per niente perché questi hub sono un simbolo del rapporto di Meloni con l’immigrazione. Esprimono cioè la volontà del nostro governo di considerare l’immigrato non una forza lavoro che può essere integrata arricchendo il patrimonio culturale e lavorativo dell’Italia. Ma di considerarli come fossero dei contaminatori che devono essere tenuti lontano dall’Italia e dagli italiani».