La Liberazione di Meloni: con le sneakers e il solito tabù

di Fabio Martini

È un caso da studiare. Un caso di distrazione di massa, ben architettato (dal suo punto di vista) da parte della presidente del Consiglio, ma con la complicità, più o meno consapevole, del mondo mediatico. Gli ottant’anni dalla Liberazione si preannunciavano un passaggio stretto per Meloni: non tanto per la necessità di articolare un giudizio compiuto sul fascismo (“obbligo” già superato diverse volte) ma perché il numero tondo dell’anniversario suggeriva una solennità e una partecipazione attiva alla festa da parte di tutte le autorità istituzionali. Meloni ha predisposto con abilità una scena devitalizzata: per il 25 aprile aveva organizzato una trasferta in Asia. La morte del Papa ha fatto saltare la missione e a quel punto la premier ha chiesto “sobrietà” per tutte le manifestazioni. Non restava che gestire l’obbligo della rituale cerimonia all’Altare della Patria. Alle 9,30 si è presentata a piazza Venezia, calzando un paio di sneakers, le scarpe da “ginnastica” che la premier usa per le occasioni feriali. Come dire: io partecipo, ma senza solennità. Una caduta di stile passata incredibilmente inosservata. Meloni non ha fatto discorsi pubblici, ma ha diffuso un testo scritto (sul fascismo la presidente non ci mette mai la faccia), nel quale ha riproposto in modo “politicamente corretto” i concetti già espressi il 25 aprile di due anni fa. Testo che invece è stato accolto dai commentatori come fosse un progresso, senza evidenziare il vero omissis. Anche stavolta risulta impronunciabile un’espressione che oramai è un tabù: il riconoscimento dell’apporto dell’antifascismo alla Liberazione. Può sembrare un accanimento ipercritico ma non lo è per due ragioni. Clamorose. Primo: il 25 aprile è la festa della Resistenza, perché non è l’anniversario della fine della guerra, ma dell’appello all’insurrezione da parte delle formazioni partigiane. Secondo: il congresso fondativo di An, trent’anni fa a Fiuggi, definì “essenziale” l’apporto dell’antifascismo per il ritorno alla libertà. Negandolo, Meloni continua a stare un passo indietro. Perché non riesce a riconoscere la cosa più dolente: i veri patrioti furono gli antifascisti. Eroi che misero in gioco la loro vita per riconquistare la libertà, non per sostenere i traditori di Salò e gli occupanti nazisti.

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