Il Papa combatté il marciume di palazzo

di Alessandro Silvestri

Il pontificato di Papa Bergoglio, verrà ricordato per molti episodi se non di vera e propria rottura, quantomeno irrituali e sorprendenti. Forse non esattamente un Papa progressista come è spesso stato definito, ma certamente un pastore a capo del cattolicesimo, attentissimo agli ultimi e agli oppressi come non si è sempre visto sul soglio di Pietro. La scelta di chiamarsi Francesco, non è stata affatto casuale, così come quella del Conclave che per la prima volta, vincendo usanze, resistenze e tradizioni secolari, elesse un gesuita. E d’altra parte il suo mandato si è prodotto proprio col compito di fare pulizia in Vaticano, di ritornare ad una gestione trasparente tanto della curia che delle finanze. Un Papa dall’aspetto umile sottolineato da molti gesti molto poco istituzionali, e parecchio attenti al rapporto umano tanto con i fedeli che con i prelati di ogni grado. Ma niente affatto arrendevole dotato com’era di quella fortitudine derivante, oltre che dal seminario, dalla strada e dalla povertà vera, affrontata nella sua missione pastorale in una terra tanto devastata dalla corruzione, dallo sfruttamento internazionale e dalla feroce dittatura di Videla. Dalle scarpe risuolate, alla croce del “buon pastore” in argento, dallo Swatch al polso alle telefonate nei conventi e nelle parrocchie, per finire con le passeggiate nel centro di Roma, che tanto fecero scalpore all’inizio del suo pontificato. Così come la scelta di andare a vivere in Santa Marta, suite 201, la residenza alberghiera gestita dalle suore dell’ordine di San Vincenzo de’ Paoli, in luogo del sontuoso Palazzo Apostolico, sede abituale del Vescovo di Roma. Il suo tifo per il San Lorenzo infine, la squadra del barrio popolare di Boedo a Buenos Aires, uguale a quella di milioni di altri tifosi del mondo. Ma oltre che alla carità, alla pace e ai destini dello spirito, Bergoglio molto si è dedicato nel tremendo compito di raddrizzare le traballanti finanze del Vaticano, erose da gestioni assai poco oculate e trasparenti, e come spesso rimbalza dagli ambienti dei bene informati, probabile causa delle dimissioni di Papa Benedetto XVI. Si era tra il 2012 e il 2013 e una serie di eventi funestò il cuore finanziario della Chiesa proprio dall’interno del Palazzo Apostolico. Un vero e proprio terremoto con lunghi strascichi giudiziari che portò all’arresto dell’aiutante di camera del Papa e di altri soggetti che lavoravano all’interno della “stanza dei bottoni”. L’esautoramento dei vertici dello Ior, lo scandalo denominato Vatileaks I e II, e più avanti in anni più recenti, lo scandalo della proprietà londinese in Sloane Avenue, gestita anch’essa in maniera allegra dallo Ior (180 milioni di perdite), che portò per la prima volta nella storia il Vaticano alla sbarra presso una corte britannica. Tutte situazioni note che assommate ad altre meno note, hanno portato il Papa a decidere una serie di provvedimenti di spending review, e di istituzione di organi di controllo, come l’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) che ha incorporato tutti i fondi e gli immobili di precedente proprietà della Segreteria di Stato. Ma la partita più difficile e complessa è stata senza dubbio la riforma dello Ior, accusato all’epoca di Ratzinger di scarsa trasparenza e vigilanza, nonché di un sistema del tutto avulso rispetto alle norme antiriciclaggio ed estromesso per questo dallo Swift. Altro episodio eclatante venuto alle cronache in quel periodo tra dicembre 2012 e gennaio 2013, fu quello del blocco delle transazioni bancomat all’interno delle mura leonine, ordinato dalla procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone su segnalazione della Banca d’Italia. Non a caso Bergoglio nel 2019 vorrà proprio il giudice siciliano alla presidenza del Tribunale di prima istanza, che ha sede anch’esso in piazza Santa Marta. Dopo gli anni bui della gestione Marcinkus, il Papa venuto “dalla fine del mondo” ha dovuto lottare aspramente contro gli approfittatori dentro e fuori la curia vaticana, che hanno portato lo Ior quasi alla bancarotta. Stiamo parlando di cifre da capogiro sparite per sempre dalle casse dell’Istituto per le Opere Religiose. Tanto che nel suo pontificato, molte volte Francesco ha lanciato appelli a nuove e generose donazioni perché si è ritrovato ad affrontare anche questa battaglia, in condizioni finanziarie pessime. Ciononostante, i bilanci sono tornati in positivo e a fine 2023 la Banca Vaticana ha registrato un utile di circa 46 milioni di euro. E anche se molto lavoro resta ancora da fare per il suo successore, non male per il figlio di poveri emigrati piemontesi nel 1929 in Argentina. Davvero niente male. E da vero fuoriclasse quale in dubbiamente è stato, ci ha lasciati in un momento che più straordinario non si poteva: durante il Giubileo, la mattina del lunedì dell’Angelo, dopo aver affrontato nelle condizioni critiche in cui si trovava, il giorno di Pasqua il suo ultimo giro d’onore in Piazza San Pietro tra la folla di fedeli. Ricordandoci un po’ quei solitari campioni della Parigi-Roubaix che dopo l’inferno di fango e pavé giungono sfiniti nel velodromo fiammingo con le braccia rivolte al cielo.

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