Intervista a Alan Friedman: «Trump è un narcisista incompetente amico di Putin e Bibi; gli Usa già in recessione rischiamo una crisi mondiale»

di Giada Fazzalari

Alan Friedman, analista statunitense, scrittore ed esperto di geopolitica, fotografando l’America a guida Trump non usa giri di parole: The Donald, mentre dichiara guerra al mondo, sta smantellando lo Stato di diritto e spaccando gli Stati Uniti d’America, socialmente e politicamente. È un narcisista con la mentalità da mafioso, che comanda e pretende rispetto. C’è poco da essere ottimisti per il futuro: per Friedman gli Usa sono già in recessione e questo potrebbe provocare una crisi mondiale. Prima di quanto ci aspettiamo.

In pochi mesi Donald Trump ha fatto vacillare le certezze su cui si era costruito l’ordine economico e politico dal dopoguerra in poi. Dove vanno gli Stati Uniti d’America?

«Gli Stati Uniti d’America sono dentro il vortice di un periodo di grande turbolenza. È un Paese spaccato in due socialmente e politicamente, un Paese molto diviso, con un presidente che sta smantellando alcuni dei pilastri dello Stato di diritto, intimidendo i giudici, le grandi emittenti televisive come CBS Television o ABC TV. Un presidente che sembra aver coordinato la politica estera degli Stati Uniti con Vladimir Putin, che vota all’Onu contro il mondo, insieme alla Russia. Un presidente americano che vuol dare a Putin la metà dei minerali dell’Ucraina se Putin lo chiede, smembrarla, che sembra disposto a fare tutto quello che Putin vuole. Trump ha dichiarato guerra all’Europa, alla Cina e al resto del mondo con una guerra economica e commerciale che rischia di creare una crisi mondiale».

Il fatto che lui abbia annunciato dei dazi e poi li abbia sospesi per novanta giorni facendo una sorta di retromarcia, è a suo avviso frutto di un atteggiamento che alcuni hanno definito folle, quasi isterico, oppure dietro c’è una strategia precisa?

«Bisogna intanto ricordare chi sono i consiglieri di Trump sull’economia e il commercio. Uno è Howard Lutnick, un miliardario finanziario, persona di basso livello culturale, esattamente come l’inviato speciale di Trump in Russia, Steve Witkoff, che è un palazzinaro di New York, un altro degli amichetti di Trump. E poi c’è Peter Navarro, consigliere commerciale per i dazi, grande falco che odia la Cina e l’Europa, un uomo che è entrato alla Casa Bianca uscendo dalla galera, dov’era entrato per la vicenda dell’insurrezione del 6 gennaio. La qualità e il livello dei consiglieri sono evidentemente molto bassi. Non c’è una strategia precisa nelle scelte di Trump, ma un’improvvisazione fatta di incompetenza. E ci sono persone stupide che non capiscono cosa dicono e se capiscono sono sospettabili di insider trading. Gli amici di Trump si stanno arricchendo alla grande speculando sulla borsa, probabilmente con le informazioni che circolano alla Casa Bianca. Un fatto gravissimo che merita un’indagine, infatti c’è un’inchiesta della magistratura americana in corso. Il rischio, però, soprattutto per i mercati e per l’economia, si chiama incertezza».

Quella di Trump è una politica dettata dal disordine, insomma.

«Trump è un agente del caos. Non ha un chiaro piano. Il suo obiettivo è quello di essere lui la persona al centro del dibattito pubblico, sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. È un narcisista che ha bisogno di lusinghe. E poi ha una mentalità da mafioso alla Don Corleone, che comanda e pretende rispetto, un mezzo sultano che aspetta che tutti i leader mondiali gli bacino i piedi, oltre che un palazzinaro pluri-fallito che ha mandato sei volte in fallimento i suoi casinò, una cosa difficilissima. I casinò normalmente sono una licenza per stampare moneta. Ma Trump è riuscito a farli fallire. E con il governo americano cosa riuscirà a fare?».

Una recente ricerca del Wall Street Journal dice che per il 45% degli economisti la recessione americana potrebbe arrivare entro i dodici mesi. Ma l’economia Usa è considerata tra le più solide del mondo…

«La mia previsione è molto più pessimista. A mio avviso l’America, da qui a un mese o due, sarà già entrata in recessione e non solo a causa dei dazi. I consumatori frenano gli acquisti in America. Tutte le grandi aziende bloccano le importazioni, fermano le produzioni, iniziano a licenziare – vedi i 900 licenziamenti di Stellantis – viene interrotta la catena di approvvigionamento. Insomma, l’effetto è stato quello dello stop, perché le imprese non vanno avanti se non sanno quali sono le regole e Trump le cambia continuamente, gettando tutto nel caos e nella confusione. Se qualcuno volesse distruggere l’economia americana e danneggiare l’economia mondiale, farebbe esattamente quello che Trump sta facendo ora. Cioè un danno autolesivo, assolutamente stupido, non basato su un piano».

Qualcuno dice che così si incentivano le aziende a investire in nuove fabbriche per produrre solo in America.

«Piccolo dettaglio: mentre le borse bruciano migliaia di miliardi, voglio ricordare che ci vorrebbero almeno vent’anni prima di reindustrializzare l’America. Oggi il commercio americano è costituito dall’80% di servizi e 20% dall’industria. Non è un paese manifatturiero. Noi americani non stiamo per produrre le scarpe che i cinesi fanno, o le tennis sneaker, o le t-shirt made in China. La verità è che Trump ha anche sottostimato la Cina».

E l’Europa?

«L’unica buona notizia in tutto questo è che l’Europa, con la guida di Ursula von der Leyen, sembra abbia mostrato di avere polso. Almeno per tre motivi. Uno, per l’avvicinamento con Xi Jinping per fare un’alleanza fra Cina e l’Europa. È necessario ormai, non c’è da avere paura. Secondo motivo, perché ha fatto la stessa cosa con Dubai e con gli Emirati e questo è positivo per avere una zona di commercio libero. E numero tre, perché l’Europa sta facendo lo stesso con l’India, un altro grande mercato per il Made in Italy. L’Europa sta reagendo e il dollaro rischia di non essere più la riserva finale del mondo perché è in caduta libera. Trump ha inflitto il massimo danno che poteva fare da presidente degli Stati Uniti contro le obbligazioni del tesoro americano. Mi spiego meglio: l’effetto delle politiche lunatiche di Trump sui dazi, ha provocato una crisi finanziaria per Wall Street, ma anche per le obbligazioni. E l’America adesso è in una situazione equivalente a quella dell’Italia nel 2010 o 2011, durante la crisi. Lo spread sui bot americani è schizzato su».

Un inciso: come giudichi la gestione della questione mediorientale e l’amicizia salda con Netanyhau, dimostrata anche nel corso dell’ultima visita alla Casa Bianca?

«Trump e Netanyahu hanno un rapporto caldo-freddo. Su una cosa il premier israeliano può contare: Trump gli dà carta bianca in Cisgiordania, a Gaza, in Libano, dovunque vuole, per condurre le sue operazioni militari. Quindi Trump non è un freno. Per quanto riguarda l’Iran, Trump prova a rientrare nello stesso accordo con l’Iran che ha stracciato nel 2018 e avrà fortuna se gli iraniani accetteranno di tornare alle stesse condizioni di allora».

Come valuta i rapporti tra il nostro Paese e gli Usa, vista la stretta amicizia tra Giorgia Meloni e Trump?

«A livello istituzionale, economico e generale, il popolo italiano e americano sono amici da sempre e ci sono antichi legami tra i due Paesi. Ogni governo italiano tende ad essere amico dell’America e viceversa. Oggi c’è una tifosa di Trump a Palazzo Chigi. Giorgia Meloni ha una similitudine di punti di vista su tante questioni con Trump e ha frequentato i giri di Trump negli ultimi anni, già da quando è andata per la prima volta al convegno CPAC, della destra repubblicana. Quindi non deve sorprendere nessuno che loro abbiano un’amicizia personale. Se poi parliamo dei dazi, quella è una questione europea e solo l’Unione Europea può trattare sui dazi».

Ti potrebbero interessare