Detenuti nei container. L’ultima trovata di Nordio

di Marika Forense

Da decenni si parla di sovraffollamento carcerario, dei numeri che denotano un totale disinteressamento da parte delle istituzioni, visto che il tasso di sovraffollamento ha raggiunto ormai il 130 per cento. Si parla infatti di circa 62 mila detenuti a fronte di 50 mila posti disponibili. L’obiettivo che si è posto il Ministro della Giustizia, per far fronte a questa disumanità, è quello di cercare di ridurre drasticamente il numero di detenuti in carcere senza una condanna definitiva e di modificare visceralmente i criteri di applicazione della custodia cautelare in carcere, tanto è vero che sono stati definiti, proprio da Nordio come “fallimentari” e quest’ultimo non accenna minimamente all’istituto dell’indulto, che anzi, ha sempre fermamente criticato. Fallimentare, invece, è per una società civile come la nostra, la folle idea, partorita da questo Governo, che è quella di “creare”, come piano completare al principale, delle carceri modulari prefabbricate, i famosi “container”, in cui sarebbero ospitati dai 4 agli 8 detenuti, installabili negli spazi esterni degli istituti oppure dare vita a nuovi spazi per l’installazione di questi ultimi. Il Governo però continua a chiudere gli occhi su quelli che effettivamente sono i problemi dei nostri istituti di pena, tra sovraffollamento, mancanza di personale all’interno delle sezioni, fatiscenza delle strutture penitenziarie e il pericoloso aumento di disagi a livello sanitario. Il Governo pensa a creare delle “carceri container” per arginare tutti i problemi. Non pensa però alle quasi 25 mila istanze presentate ai Magistrati di Sorveglianza in tutta Italia, che hanno riconosciuta la violazione dell’articolo 3 della Cedu, e ci si chiede se i famosi 3 mq saranno garantiti anche all’interno dei prefabbricati. Perché il Governo non interviene per modificare il mondo penitenziario? Perché il rinnovamento del sistema penitenziario italiano non fa parte dell’agenda programmatica di questo Governo illiberale ed anti democratico. Una buona notizia, però, c’è ed ha investito il mondo penitenziario come un treno in corsa: ad un anno dalla pronuncia della Consulta, il Dap ha lanciato un primo segnale concreto in relazione al diritto all’affettività in carcere, con regole ben precise come ad esempio il fatto che sia riservato ai detenuti che abbiano una relazione affettiva stabile, ma non è concesso, tra gli altri, a coloro sottoposti al regime del 41-bis. Ma è di fatto un diritto riconosciuto a metà, perché non tutte le carceri hanno a disposizione dei locali idonei. Si spera che questo nuovo diritto soggettivo riconosciuto in capo ai soggetti detenuti sia il primo di una lunga serie e si auspica che il carcere torni ad essere di nuovo il luogo di reinserimento sociale di rieducazione e non di punizione.

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