di Stefano Amoroso
Mentre i dazi imposti da Trump sconvolgono i mercati mondiali e le sue dichiarazioni dividono l’opinione pubblica interna degli Stati Uniti e del resto dell’Occidente, i leader dell’internazionale nera vengono sempre più allo scoperto, e lavorano a ridisegnare gli equilibri mondiali. È un po’ come se Trump avesse fatto tana libera tutti nella politica mondiale. L’incontro tra Orban e Netanyahu a Budapest, lo scorso 3 aprile, in videocollegamento con Trump, non è stato solo l’occasione per rinsaldare un asse che si è formato, quasi per caso, sulla guerra in Ucraina (tutti e tre i Paesi, a fine febbraio scorso, all’Assemblea dell’Onu hanno votato contro la risoluzione anglo- francese sulla guerra in Ucraina, che condannava la Russia come Paese aggressore e primo responsabile del conflitto), ma è stata anche l’opportunità per dichiararsi contrari agli organismi sovranazionali di gestione dei conflitti. La prima vittima del furore dei nazionalisti autoritari è stata la Corte Penale Internazionale: né Israele, né gli Stati Uniti, l’hanno mai riconosciuta. Però in passato cooperavano con questa istituzione internazionale, l’accettavano tacitamente. Ora, invece, l’avversano palesemente. Addirittura, con Trump si è arrivati ad emettere sanzioni contro i giudici della Corte Penale e chi lavora per loro. L’Ungheria, che invece ne faceva parte, con Orbàn ha annunciato l’intenzione di uscirne. Non è un caso che Paesi così diversi come Stati Uniti, Israele ed Ungheria, in passato anche avversari, siano uniti dalla lotta contro gli organismi sovranazionali e le agenzie dell’Onu. Uno dei primi atti di Trump, appena diventato presidente degli Stati Uniti per la seconda volta, è stato quello di annunciare l’uscita degli Usa dall’Oms. E poi è seguita l’uscita dall’Accordo di Parigi per la transizione climatica, e successivamente lo smantellamento di Usaid, ovvero l’agenzia che gli Stati Uniti hanno sempre utilizzato per aiutare i Paesi e le popolazioni più povere ed emarginate del mondo. Che fastidio davano tutte queste agenzie? Costavano troppo? Se fosse stato quello il vero motivo, si poteva avviare un negoziato con gli organi dirigenti, rivedere il bilancio e fare un po’ di sana revisione della spesa. L’obiettivo vero, però, è un altro: appartenere ad un organismo internazionale e sovranazionale impone di rispettare statuti e regolamenti, di sottostare a regole e di sottoporsi a verifiche e controlli. Sono tutte cose inaccettabili per nazionalisti autoritari come i signori che si sono incontrati a Budapest. Se la pensi così, e sei alla guida del più grande Paese dell’Occidente, è evidente che il risultato della tua azione politica ed economica, dazi inclusi, non può che essere quello di picconare l’ordine mondiale che i tuoi predecessori hanno contribuito in maniera determinante a costruire. La storia della crescita degli Stati Uniti d’America, e della loro rapida espansione come potenza globale, infatti, è strettamente connessa alla nascita ed evoluzione di organismi come l’Onu, la Nato, l’Ocse, l’Omc (Organizzazione Mondiale del Commercio), l’Oms, il Fondo Monetario ed altri ancora. Erano la rappresentazione plastica del successo dell’Occidente e soprattutto degli Stati Uniti: la longa manus attraverso cui, pacificamente, si convincevano gli altri Paesi a seguire i consigli dell’Occidente, ad adottare il dollaro e, in misura minore, l’euro, come valute mondiali. E, soprattutto, gli strumenti con cui si plasmava l’immaginario collettivo mondiale sugli standard fissati in Occidente e s’inculcava il mito del “sogno americano”. Ora, come d’incanto, salta tutto. Nel caos che segue all’ordine perduto, è del tutto naturale che i leader nazionalisti autoritari di tutto il mondo e, in parte minore, i tecno liberisti alla Musk, cerchino di ritagliarsi uno spazio di manovra. Proprio quegli spazi che la Meloni non riesce a trovare. Il problema della nostra premier è di tipo strategico: vorrebbe stare nel gruppo di quelli che disegnano la nuova Europa, il nuovo Occidente ed il nuovo ordine mondiale, restando all’interno degli schemi del Novecento. Ma non ha capito che, senza più quegli schemi, conteranno solo i rapporti di forza ed il possesso di asset strategici da giocare al tavolo della nuova geopolitica mondiale. Tavolo dal quale l’Italia rischia di risultare assente, e quindi preda e non predatore. “Avanti, ragazzi di Buda” recita il testo di una famosa canzone di rivolta contro la dittatura, molto cara ai militanti della destra italiana: Trump ed i suoi vassalli dimostrano di credere sinceramente di stare dalla parte giusta della storia contro i vincoli internazionali del multilateralismo. Proprio per questo andranno avanti, a meno che non vengano fermati.