di Giada Fazzalari
Due milioni e mezzo di persone, in Italia, rinunciano a curarsi. Hanno rinunciato del tutto a prestazioni sanitarie, tra visite specialistiche e esami diagnostici, per indigenza. Inoltre liste d’attesa infinite, salti di code a pagamento, privatizzazione della sanità hanno limitato le spese di quattro milioni e mezzo di persone. Che Paese è quello in cui i suoi cittadini non possono decidere se allungare l’aspettativa di vita o accorciarla drasticamente? Si tratta della più grande e drammatica forma di ingiustizia sociale, un furto strisciante del futuro dei cittadini. Ciò che fa più preoccupare è che si tratta di un numero in crescita come quello della povertà assoluta, che è passato dal 7,7% all’8,3%. E le ultime stime di Gimbe e Istat documentano un ulteriore incremento fino all’8,5%. Viviamo in un paese in cui migliaia di persone, nonostante lavorino, sono costrette a mettersi in coda alle mense dei poveri, in cui un numero di abitanti inferiore all’uno per cento ha tre volte la ricchezza di tutti gli altri messi insieme, e in cui un abitante su dieci è povero, povero assoluto. Solo quindici anni fa erano tre su cento. In quindici anni la povertà ha ingoiato milioni di persone e si prepara a ingoiarne altri milioni. Nell’ Italia del miracolo economico i socialisti hanno realizzato, coi loro ministri della sanità, da Mancini a Mariotti e ad Aniasi, una sanità gratuita e universale in cui il diritto alla salute fosse assicurato a tutti e costituisse uno strumento di riequilibrio delle diseguaglianze sociali. Da almeno vent’anni, una parte del potere economico, complice un governo che tutela le loro istanze, lavora per riportare la sanità alla dimensione dell’ingiustizia sociale: la privatizza, la svilisce, la rende inaccessibile. La battaglia per la sanità pubblica deve essere una battaglia di tutte le forze politiche: una sorta di patto per salvare il diritto a curarsi, per costruire un Paese dove un povero abbia il diritto di curarsi esattamente come un ricco. Si potrebbe iniziare combattendo le diseguaglianze, raddrizzando i torti, stare accanto agli ultimi della fila.