di Giada Fazzalari
La differenza tra essere un Paese civile e non esserlo si misura anche attraverso la qualità del suo sistema sanitario pubblico. E a ben guardare, l’Italia sembra trovarsi in un punto di non ritorno. Il Governo gioca con i numeri, dichiara ad ogni occasione che le risorse messe in campo sono maggiori che negli anni precedenti, accusa le opposizioni di strumentalizzazione. Basterebbe visitare gli ospedali e i pronto soccorso di qualsiasi città o provincia, forse, per fare un bel bagno nella realtà: liste d’attesa infinite, riduzione degli “avamposti” sanitari territoriali, strutture emergenziali al collasso con medici “a gettone” per sopperire alle mancate assunzioni. Tutto a beneficio di una sanità privata che fattura qualcosa come 42 miliardi di euro all’anno. Ma stiamo sui dati, perché è su quelli che si consuma la menzogna: con la manovra di bilancio per i prossimi anni la previsione di spesa sanitaria per il 2025 è stata incrementata di 2,5 miliardi di euro, recuperando in questi anche 1,2 miliardi dalla manovra 2024. Il Fondo Sanitario Nazionale raggiunge quindi i 136, 5 miliardi di euro; un incremento dell’1% sul 2024. Aumenterà, in previsione, anche nel 2026, del 3%, per poi attestarsi ad aumenti dello 0,4% nel 2027, 0,6% nel 2028 e 0,7% nel 2029. Sembrerebbe quindi che il Governo avesse ragione. Questo se non si tenesse conto dell’indice di crescita del Paese, il famigerato PIL. È da questo confronto che emerge la verità: il Fondo Sanitario Nazionale diminuirà dal 6,12% sul Pil del 2024 al 6,05% nel 2025 e nel 2026, per poi precipitare al 5,9% nel 2027 e al 5,7% nel 2028. Il dato vero ed incontrovertibile, quindi, è che la disponibilità economica per la sanità nazionale diminuisce, traducendosi nel furto strisciante del futuro dei cittadini e del loro diritto alla cura. E non è quindi un caso che tutto il sistema sanitario (medici, infermieri, operatori sanitari) abbiano incrociato le braccia nei giorni scorsi, scioperando contro queste scelte che mettono in ginocchio pesantemente la sanità pubblica, minando quel precetto costituzionale che la vorrebbe universale e fondamentale diritto dell’individuo. Del resto, chi sciopera sa bene che la sanità pubblica non è solo interesse sindacale ma anche sociale; perché vive tutti i giorni le difficoltà dei pazienti che non trovano risposte adeguate ai loro bisogni. Come succede nei momenti più bui della storia, e questo per la sanità pubblica certamente lo è, servirebbe assumere scelte radicali Ci vorrebbe il coraggio di socialisti come Mancini, che impose il vaccino salvando migliaia di bambini; di Mariotti, che trasformò gli ospedali in enti pubblici aperti a coloro che ne avessero più bisogno, di Aniasi, il socialista promotore dell’istituzione del SSN. Servirebbe cioè colmare la più grande forma di ingiustizia sociale: decidere chi può curarsi e chi no, in base alle disponibilità economiche. Se la sinistra, tutta, non si unisce per combattere questa grande battaglia comune, che altra grande missione dovrebbe avere? La crisi della sanità pubblica è già iniziata e conviene agire. Ora.