di Giada Fazzalari
Sempre che i valori di democrazia e di libertà a cui siamo stati abituati e i principi infissi nella Costituzione che richiamano alla libertà di informazione non siano diventati carta straccia, il caso degli attivisti e dei giornalisti spiati è un fatto gravissimo e pericolosissimo. Grave perché la sorveglianza diretta a persone che non siano terroristi o criminali, e dunque per ragioni di sicurezza, è vietata. Pericoloso perché lo spionaggio di messaggi, telefonate, microfoni e telecamere a giornalisti e attivisti rappresenta un attacco diretto non soltanto alla libertà di espressione ma verso tutto il sistema di informazione libero e indipendente. E però, se è vero che, come sostiene il governo, non c’è stata attività di spionaggio da parte dell’intelligence a danno di giornalisti e attivisti, la notizia secondo cui la società israeliana Paragon Solutions (gli acquirenti a cui possono essere venduti i costosissimi programmi sono due: i governi e le agenzie di sicurezza) abbia rescisso il contratto con lo Stato italiano per violazione dei termini di servizio e per ragioni etiche, desta quantomeno qualche perplessità. Molti osservatori si sono appellati al rischio che fosse compromessa la sicurezza nazionale. Il fatto però va letto con la lente della politica. Gli utenti colpiti dallo spionaggio da parte di uno dei clienti di Paragon Solution sono un centinaio in Europa. Sette sono italiani. Di questi, quattro sono sconosciuti. I tre di cui conosciamo il nome sono: Francesco Cancellato, direttore di Fan Page, autore di inchieste che certo non si possono annoverare tra quelle filogovernative. Gli altri due spiati sono Luca Casarini e Beppe Caccia, importanti figure di ONG impegnate nella ricerca e il soccorso di migranti in difficolta, considerate ostili al Governo. Attacco, dunque mirato. Che il governo abbia dichiarato guerra alle ONG, è un fatto risaputo (ve la ricordate il decreto sicurezza con la stretta sulle ONG?). Che le due inchieste su gioventù meloniana e sulla lobby nera di Fan Page abbiano provocato uno scossone ai fratelli d’Italia, è anch’esso fatto noto. Qualcuno diceva: “A pensar male si fa peccato ma molto spesso ci si azzecca”. E quando la libertà di stampa, uno dei pilastri delle democrazie, viene messa a rischio da un tentativo di controllo e di intimidazione come quello dello spionaggio, la stessa democrazia è a rischio. E se l’Europa si fonda esplicitamente sul rispetto dello Stato di diritto, ha il dovere di intervenire con fermezza su una questione su cui si rischiano derive autoritarie e liberticide. A ben guardare, l’Ungheria non è poi così lontana.