Tra voltafaccia e rimpastini Meloni col bilancino pronta a rimpinzare gli alleati

di Alessandro Silvestri

Giorgia Meloni è una gran lavoratrice, su questo punto non crediamo ci possano essere temi di smentita. Anche durante la breve vacanza pugliese, il vertice ristretto del Governo non ha smesso di riunirsi e discutere, animato anche dalle “imboscate” di Tajani sullo Jus Scholae. Complice l’aria, i paesaggi, le masserie e la straordinaria cucina locale, dalle orecchiette ai frutti di mare; dai latticini al riso, patate (appunto) e cozze; dalle grigliate agli spaghetti all’assassina, la Premier ha potuto ritemprarsi senza mollare di un giorno il suo ruolo di leadership. Anche se ogni tanto un’occhiata allo specchietto retrovisore si è resa necessaria per le tante beghe nella compagine ministeriale che la affliggono e non poco. Certo, Meloni incassa subito le buone notizie sull’economia e l’occupazione “siamo il quarto Paese mondiale per export” senza dire che la massiccia iniezione dei miliardi del Pnrr deve aver in qualche misura giocato un ruolo, anche se dai dati disponibili, risulta che dei famosi 194 miliardi destinati all’Italia, soltanto una cinquantina sarebbero stati messi per ora, in funzione. Mentre al Sud comuni e regioni (pare per colpa dei noti lacci burocratici) continuano a scrivere al ministero fin qui guidato da Raffaele Fitto, per lamentare che del 40% dei fondi a loro destinati, per adesso si sia visto ben poco. Una sorta di autonomia differenziata “materiale”. E già, perché se è vero che la nomina del ministro pugliese alla vicepresidenza esecutiva della Commissione europea, che si occuperà di materie economiche, è un altro punto a favore di Giorgia, che incassa serafica nonostante il voltafaccia di luglio alla von der Leyen, tutto (o quasi) è rientrato con la recente benedizione del capo dei popolari, Manfred Weber, che è sceso a Roma per formalizzare il sostegno all’Italia e all’uomo indicato dalla Presidente del Consiglio. Formalmente un percorso istituzionale ineccepibile. Weber ha incontrato prima il ministro Fitto, antica conoscenza dai tempi della gioventù democristiana, poi è stato ricevuto a Palazzo Chigi e infine l’ultima parte della giornata romana, l’ha dedicata al ministro degli Esteri e compagno di partito, per chiudere nella massima armonia il suo mandato ambasciatoriale. Non è difficile ritenere che Tajani passerà presto dal Via! per incassare qualcosa di pesante nel probabile rimpasto (o mini-rimpasto) che la Meloni, nonostante la nota avversità per questa “orribile” pratica da prima Repubblica, si vedrà costretta ad intraprendere. E se concederà qualcosa ad un vicepresidente, vuoi che non tocchi qualcosa anche all’altro? Alla Meloni, volente o nolente, serve (nella pratica quotidiana) di più il sostegno di Salvini perché è l’unico che ha la capacità di spostare continuamente l’attenzione dai problemi seri e reali del Paese, a quelli legati alla cronaca e alla pancia. Anche se non ne azzecca una, ma all’elettorato che sostanzialmente sostiene sia FdI che Lega, va bene così. Per adesso. Anche perché ha già mandato a dire che se rimpasto ci sarà, vedrà in pole position solo rappresentanti di Fratelli d’Italia. E ancora non si è affrontata se non blandamente la questione della finanziaria, annunciata come una manovra “soft” da 25 miliardi, considerando anche l’extra gettito dell’Irpef per i primi mesi del 2024, ma con la scure del promesso innalzamento delle pensioni, col debito pubblico già salito intorno al 140% del Pil. Con Fitto a Bruxelles a chi passerà in mano la patata bollente del Pnrr? Questa la vera questione sul tappeto. Della mancanza di classe dirigente all’altezza dell’entourage meloniano scriviamo ininterrottamente dai tempi delle elezioni 2022, e tutti i dossier scomodi aperti a partire da Delmastro e il suo compare Pozzolo, poi Sgarbi e Santanché, i guai familiari con la sorella Arianna e l’ex compagno sciupafemmine, e ora anche Sangiuliano sopra la graticola (la tiella è la tiella…) rivelano all’Italia che non è soltanto una questione di gaffes a getto continuo di questo o quel ministro. Vi è una qualità molto al di sotto di quella richiesta dal compito, che è piuttosto generalizzata. Argomento che farebbe roteare gli occhi a chiunque! E dove lo trovano adesso un ex democristiano, con il curriculum adeguato, passato indenne un po’ da tutto il centro-destra con quella capacità di galleggiare sopra le burrasche che evidentemente fa punteggio, che vada a sostituire il neo-vice della von der Leyen? L’identikit risponderebbe a quello di Maurizio Lupi (che non sarebbe sgradito nemmeno a Salvini per via del suo notorio sostegno al Ponte sullo Stretto e alla comune fede milanista) non sembrano esserci altri candidati all’altezza. Vedremo ben presto. Un autunno difficile per il Governo, anche perché a breve si svolgeranno le elezioni in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria, e proprio dalle due regioni su tre attualmente in mano al destra-centro, potrebbero venire notizie poco gradite.

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