di Stefano Amoroso
In queste torride giornate estive, scandite dalle gare olimpiche e da qualche polemica pugilistica di troppo, al Ministero dell’Economia e Finanze i tecnici si stanno allenando in vista dell’autunno. Che si preannuncia complicato per via delle numerose sfide di finanza pubblica che il Paese ha dinanzi a sé. Da quando, lo scorso 26 luglio, è stata ufficializzata la procedura d’infrazione europea contro l’Italia ed altri sette Paesi (tra cui la Francia), al Ministero di via XX Settembre sono partiti gli allenamenti intensivi dei dirigenti e tecnici ministeriali: ginnastica a corpo libero, innanzitutto, visti i volteggi, i salti doppi, tripli, carpiati e mortali a cui i programmi di finanza pubblica dovranno essere sottoposti, da qui a settembre, per poter produrre una strategia credibile ed accettabile di rientro dal deficit eccessivo (7,4% il dato consuntivo del 2023). E non solo: il ministro Giorgetti ed i suoi tecnici dovranno esercitarsi in arditi volteggi per cercare di far quadrare i conti in maniera armoniosa, senza dover aumentare le tasse in maniera troppo evidente. E poi, afferrati gli anelli, provare a tirarsi su, fino a toccare il cielo della stabilità finanziaria e dei conti in equilibrio nel medio e lungo periodo. Tanti auguri, e speriamo non si facciano troppo male. L’autunno sarà anche la stagione nella quale il Pnrr, finora ancora in fase iniziale e di programmazione, dovrà concretizzarsi in spese effettive, in cantieri aperti e nei primi Stati di Avanzamento Lavoro. A cimentarsi nella disciplina della lotta contro la coriacea burocrazia romana, il Governo ha designato Raffaele Fitto. A lui il compito di condurre estenuanti corpo a corpo con avversari tosti ed avversità di ogni tipo, che hanno bloccato la realizzazione d’importanti opere pubbliche a tutti i livelli per decenni, soprattutto al Sud. Qualche dubbio sulla reale efficacia dell’azione fittiana esiste, soprattutto dopo il flop clamoroso della prima edizione della Zes unica del Mezzogiorno, i cui esiti sono stati pubblicati lo scorso 22 luglio: visto che le richieste sono state oltre cinque volte superiori alle somme messe a disposizione (il che era ampiamente previsto, vista la scarsità dei fondi impegnati), il contributo di cui potranno effettivamente usufruire i beneficiari sarà solo il 17,6668% dell’investimento totale. Poco più di una mancia, insomma, che prevedibilmente non contribuirà a far aumentare gl’investimenti al Sud. L’insistenza del ministro Fitto a non voler aumentare i fondi, insomma, mostra tutta la sua miopia. Il ministro Salvini, invece, dovrà cambiare disciplina: a marzo 2023 si era immaginato centometrista, magari con tanto di record mondiale, per avviare entro il 31 luglio la realizzazione di un’opera che in Italia viene attesa da decenni, ma lo scorso 24 luglio ha dovuto arrendersi all’evidenza: non sarebbe stato possibile avere nessun progetto esecutivo entro la fine del mese. Dunque, tanto vale trasformarsi in marciatore e puntare alle lunghe distanze con la politica dei piccoli passi: il progetto del Ponte si realizzerà “anche per fasi costruttive”, dunque un po’ alla volta. Amen. La Presidente del Consiglio, invece, la Giorgia nazionale, dovrà necessariamente cimentarsi con una disciplina composita e poliedrica: un pentathlon o decathlon della politica. Infatti, oltre a dirigere la sgangherata orchestra governativa, dovrà anche cercare di uscire dall’isolamento europeo in cui è finita, in buona parte per colpa sua. Nello stesso tempo dovrà immaginare il nuovo Fisco orfano del Redditometro per evitare che, proprio in una fase delicata come questa, con nuove spese da intraprendere e vincoli europei da rispettare, in mezzo a venti di guerra e crisi internazionali che spirano da tutte le parti, crollino le entrate fiscali. Inoltre, dovrà trovare le risorse per rendere operativa l’autonomia differenziata ed il tempo per affrontare il prevedibile referendum abrogativo. Infine, insieme ai suoi ministri con competenze economiche, dovrà riuscire a riempire di contenuti il Def approvato ad aprile, che è stato uno dei più scarni e vuoti di tutta la storia recente della Repubblica. Il ministro degli Esteri Tajani, invece, si dovrà allenare duramente nella corsa ad ostacoli: ci aspetta una recrudescenza delle guerre in corso sia in Ucraina che nel Medio Oriente, fibrillazioni tanto in Africa quanto in America Latina (nel Venezuela, sull’orlo della guerra civile, vive la terza comunità italiana più numerosa del mondo, un esercito di circa cinque milioni di persone), e poi la conclamata crisi economica che coinvolge alcuni dei nostri principali partner mondiali: dalla Germania al Regno Unito, dagli Stati Uniti alla Cina, passando per Giappone e Francia, non si respira un clima molto ottimistico per le esportazioni italiane. E questo è un ulteriore problema per i traballanti conti pubblici del Belpaese, che hanno bisogno del segno più delle esportazioni, come dell’aria che si respira. Insomma chi, soprattutto nel Governo e nella maggioranza, si aspettava tempi tranquilli e senza grosse scosse, all’ombra del Pnrr e delle politiche messe in campo dai Governi Conte e Draghi, si è sbagliato di grosso: l’Italia, come tutto il resto del mondo, naviga in acque inesplorate e piene d’insidie. Al timone della nave servono persone esperte, capaci e coraggiose: saranno all’altezza del compito, Meloni e compagnia? Altrimenti, sarebbe più saggio farsi da parte.