Soffiano venti di crisi. Ora gli Stati Uniti d’Europa nello spirito di Ventontene

di Stefano Amoroso

La novità più grande della prossima tornata elettorale europea di giugno, in Italia, è sicuramente la lista “Stati Uniti d’Europa”. Nel solco del Manifesto di Ventotene, ed in continuità con decenni di sforzi dei federalisti europei, la lista di scopo fondata da Enzo Maraio, Emma Bonino, Matteo Renzi ed altri, si pone l’obiettivo di dare rappresentanza a tutti coloro che sognano un rilancio ed un rafforzamento dell’ideale europeo, in un momento difficile e tragico come questo. A chi obietta che creare una struttura federalista europea appare una chimera, bisogna rispondere che anche sognare un’Europa unita e democratica, nel 1941, lo era. Infatti, allora come oggi, l’Europa era sconvolta dalla guerra, in preda ai nazionalismi ed ai regimi totalitari come quello stalinista, povera, spaventata ed incerta sul suo futuro. Solo dei pazzi visionari, o delle persone animate da una profonda fede unita al fiuto politico, allora, avrebbero potuto pensare che la soluzione migliore, per tutti, sarebbe stata quella di unirsi e collaborare in pace, anziché farsi la guerra. Per nostra fortuna, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni erano dei grandi visionari, dei fortissimi idealisti e delle persone animate da un grande fiuto politico: avevano capito che, anche se avessero vinto la guerra, Hitler e Mussolini (o Stalin) non avrebbero potuto dare risposte soddisfacenti ai bisogni di lungo periodo dei cittadini. Capirono, insomma, che la loro grande violenza mostrava chiaramente anche i loro limiti e la loro piccolezza. La situazione odierna può sembrare assai meno grave: nonostante tutto, l’Europa Occidentale continua ad essere uno dei due continenti più ricchi, insieme al Nord America, ma con un livello di violenza, di sperequazione economica tra ricchi e poveri, e di disagio sociale, decisamente inferiore rispetto ai nostri cugini di Oltre Oceano. La qualità della vita che si vive in gran parte dell’Europa è invidiata da tutto il resto del mondo. E non è solo una questione di Pil o di pingui conti in banca: contano molto anche i servizi sociali, la democrazia, il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. Tutte cose che, in gran parte del mondo, non sono per niente facili da avere. E tuttavia, l’Europa è in pericolo: si combattono terribili guerre ai suoi confini, i movimenti ed i partiti nazionalisti sono in crescita quasi ovunque, il disagio sociale aumenta e, con esso, le tensioni tra i diversi ceti della popolazione. La sanità pubblica, per esempio, pur essendo ancora oggi un vanto di gran parte dei membri della UE, comincia a mostrare crepe evidenti, ed a funzionare sempre peggio. Inoltre, preoccupa, e non da oggi, l’alto livello di debito pubblico ed il progressivo invecchiamento della popolazione. E allora, perché inneggiare ad una più stretta unione europea, se molto spesso è proprio l’Unione Europea esistente, l’origine dei nostri guai? Proprio perché l’Unione non è una vera unione di popoli, ma una tecnocrazia chiusa nei suoi palazzi, lontana dalla popolazione, e tutta intenta a celebrare i suoi riti, incomprensibili ai più. Insomma, a Bruxelles e Strasburgo pare essersi creata una copia contemporanea della corte di Bisanzio, più che la libera unione federale di popoli e Stati pensata ed auspicata da Ernesto Rossi. Così, non è per nulla strano che molti pensino che la soluzione migliore sia tornare indietro, avendo meno vincoli, un’Europa ridotta ad una semplice area di libero scambio, ed avere nuovamente gli Stati sovrani. “Padroni a casa nostra”, è lo slogan degli euroscettici. E questa casa, spesso, non è neanche lo Stato nazionale, ma le Regioni ed altre realtà di governo locale ancora più piccole. Questo sarebbe sicuramente l’errore più grande che si possa fare: avere meno unione, meno Europa e meno regole, nel momento in cui i nostri nemici si affacciano, bellicosi e decisi a sopraffarci, alla nostra soglia. Dalla difesa alla tutela dell’ambiente, dalla lotta per un fisco più equo alla lotta contro la criminalità organizzata ed il terrorismo, dall’innovazione al contrasto alla disoccupazione, non c’è un solo dossier che si possa affrontare meglio da separati che non da uniti. Per questo ci vogliono gli Stati Uniti d’Europa, ci vuole un’unione di qualità e basata su principi federali e con metodo democratico. Non resta che augurarsi che, i prossimi 8 e 9 giugno 2024, lo spirito di Ventotene illumini gli elettori e li spinga ad uscire per un po’ dal ristretto cortile di certa politica italiana, facendogli guardare oltre il recinto, verso l’orizzonte europeo e mondiale.

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