Maraio, basta divisioni. E’ ora di porre fine alla nostra diaspora – Il Riformista

Articolo pubblicato su Il RIformista il 20 ottobre 2022
di Enzo Maraio

 

Se c’è un terreno sul quale si è bravi a esercitare un costante impegno è quello delle divisioni. Non è la prima volta che il Partito Socialista Italiano affronta una fase delicata. Se peschiamo nella storia non è difficile scoprire che questa, che non mente mai, ci ha “regalato” momenti difficili e spesso drammatici, soprattutto per la durezza con la quale si sono esercitati i diversi pensieri, le diverse prospettive, i diversi sentimenti sul futuro. Ma la storia è stata altrettanto capace di insegnarci che da oltre un secolo siamo ancora qui, con le nostre idee, il nostro simbolo, la nostra continua discussione sul miglioramento del domani. La ferita della “diaspora” sanguina al primo inciampo. Lacerando il partito, allontanando l’entusiasmo, alimentando pensieri sorretti da posizioni socratiche, in molti casi di pessimo gusto o che non facilitano la costruzione di un partito moderno. Chi cammina talvolta cade, diceva Sandro Pertini.  Inciampare è facile, punire è controproducente e non ha niente a che fare con la politica.

In un quadro così labile per la sinistra italiana, uscita dalle urne a pezzi, è necessario evitare l’ennesimo strappo ma, piuttosto, discutere, perché l’elaborazione delle idee non avviene mai con reazioni di pancia. Evitare cioè quello che accadde all’indomani di Tangentopoli, con i partiti che si frantumarono e i socialisti fluire nei rivoli di nuove formazioni – a destra e a sinistra -. Collocazioni diverse per sottrarsi al fuoco di fila, al colpo di mano che costrinse il più importante partito riformista a ridimensionare la propria azione sociale. Una nuova vita politica che, a guardarla oggi, non ha prodotto un’Italia migliore ma ha solo mantenuto posizioni di rendita vivendo, come uccelli pulitori, sul dorso di animali politici che negli anni hanno alimentato populismo e demagogia.

Tanti, troppi socialisti, si sono abbandonati nelle braccia di un sistema che alle ultime elezioni politiche arriva in affanno sui temi centrali, sulla modernità del pensiero, sull’elasticità del rapporto tra palazzo e problemi reali. Eppure il pensiero socialista è così moderno e di prospettiva. Un pensiero potente che ancora oggi troverebbe la sua strada esercitando la propria formazione culturale, difendendone i valori e proiettandoli all’oggi, togliendo la ruggine a un Partito e a un’Idea ancora necessari alla vita del Paese.

E oggi più che mai, le nostre porte devono rimanere aperte e le nostre stanze senza processi, riaccogliere chi è andato via, chi si sente scomodo, chi è pronto a gettare la spugna, chi si sente tradito; e, soprattutto, ridando fiducia a tutti coloro che vedono l’ideale potente della socialdemocrazia come motore di eguaglianza e progresso. Occorre farlo guardando oltre il proprio sguardo, con una grande prospettiva politica che è quella delle grandi socialdemocrazie europee: unica strada per costruire argini alle destre e a quella destra-centro, che mostra il viso moderato in pubblico e armi affilate al Governo. Ponendo dunque fine a quella diaspora socialista che insieme alle divisioni, rischia di indebolire un’idea che non solo non è sparita sotto le macerie delle ultime elezioni, ma che rimane una bussola e può essere la chiave di modernità e progresso in un’Italia in affanno. Un passo decisivo e un obiettivo prioritario per noi, in una fase tra le più difficili per la sinistra negli ultimi decenni, per essere pronti e al servizio di una nuova stagione di ristrutturazione del nostro campo politico, il centrosinistra, che non potrà non ripartire dalle libertà, dal welfare, dalla giustizia sociale e dalla lotta alle disuguaglianze; frontiere che, in Europa, sono difese dai partiti socialdemocratici ai quali noi dobbiamo continuare ad ispirarci.

 

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