di Andrea Follini
In questi dieci mesi, da quanto il conflitto israelo-palestinese è riesploso in tutto il suo orrore, abbiamo sempre voluto raccontare qualcosa di più della già tragica cronaca di una guerra. Abbiamo cercato di portare all’attenzione del lettore anche aspetti spesso tralasciati dalle altre testate italiane, oppure poco approfonditi. Le tensioni e le contrapposizioni all’interno del governo Netanyahu; le motivazioni per le quali al primo ministro israeliano serve che questa guerra non cessi troppo presto, perché altrimenti perderebbe velocemente il suo potere; le condizioni del popolo palestinese a Gaza, stretto tra gli attacchi di Israele (che non ha certo risparmiato obiettivi civili durante i suoi raid) ed il terrore di una guida politica, Hamas, che di quel popolo si fa tranquillamente scudo nel perseguire i suoi obiettivi militari legati ad una pazza filosofia religiosa, secondo la quale l’unico obiettivo deve essere quello dell’annientamento dello Stato sionista. Abbiamo raccontato delle sofferenze di un popolo, privato dei più elementari mezzi per sopravvivere; delle interminabili file di camion carichi di aiuti bloccati al valico di Rafah, intervistando anche alcuni dei nostri parlamentari che si sono recati in missione in quei luoghi, proprio per “toccare con mano” la catastrofe e cercare di dare un segnale di presenza delle istituzioni italiane, mute di fronte all’orrore. Abbiamo raccolto il grido disperato di chi a Gaza combatte tutti i giorni per salvare vite umane, come gli operatori della federazione tra Croce Rossa e Mezza Luna Rossa, in ospedali colpiti dall’artiglieria dove manca tutto, i cui sotterranei sono a volte utilizzati come basi dai terroristi di Hamas e le cui ambulanze sono state spesso bersagli. Abbiamo raccontato di come vivono i palestinesi in Cisgiordania, territorio dimenticato dalle redazioni occidentali, dove ogni giorno si registrano morti per mano dei coloni, che girano impunemente armati in virtù della necessità di difesa della propria vita e della propria libertà, mentre si dimentica che tale libertà compromette quella di chi quei territori li vive da sempre, ben prima della colonizzazione selvaggia ed arrogante voluta negli anni passati dai leader dei governi di destra di Tel Aviv. Siamo stati voce per quegli israeliani dimenticati, che ogni settimana protestano nel loro Paese contro un governo che non li rappresenta, chiedendo la liberazione degli ostaggi attraverso il raggiungimento di un accordo con Hamas, per un cessate il fuoco che manca come l’aria da respirare in questo spicchio di mondo sommerso nell’odio perenne ed atavico. Ed abbiamo raccolto l’appello di quei giovani palestinesi, molto distanti dalle posizioni estremiste di Hamas, ma assieme al resto del loro popolo spesso vittime incolpevoli di una guerra che non hanno voluto ed il cui solo desiderio era quello di vivere: calciatori, studenti, attori, informatici, infermieri…ragazzi e ragazze che pur in un lembo di terra da troppo tempo contesa e martoriata, avevano ed hanno sogni di futuro; ragazzi che ora affidano ai social network i video dei loro racconti, perché non ci si dimentichi di loro se, un giorno o l’altro, saranno vittime di questa guerra d’odio e di interessi. Una panoramica ampia a ripercorrerla, specie ora che si sta tentando di evitare che questo conflitto diventi preoccupantemente altro. Cioè il motivo scatenante di un intreccio più ampio, che coinvolga apertamente e direttamente altri Paesi, anche se siamo ben consapevoli ormai che questa guerra ha già valicato i confini dei due Paesi contendenti. Con le armi e con la diplomazia. Coinvolgimenti che, ammantati dal fanatismo religioso (per i Paesi mediorientali) o dal desiderio di riportare la pace in un territorio considerato strategico (per i Paesi occidentali), nascondono in realtà, come sempre succede, interessi legati più a questioni interne, sacrificando ai propri fini la disperazione di due popoli, quello palestinese e quello israeliano, sull’altare dell’opportunismo. Non abbiamo nascosto la nostra preoccupazione per l’assordante silenzio degli organismi internazionali che, allorquando si sono pronunciati, non si è udito che un flebile richiamo alla pace. Perché l’Europa non ha fatto sentire in modo più incisivo la sua voce? Perché dobbiamo attendere le parole del Papa, per udire un richiamo alla necessità di rimettere sul tavolo dei valori universali l’umanità? Noi continueremo a scrivere di tutto questo; lo dobbiamo al nostro dovere di approfondire e di offrire una lettura più ampia possibile su quanto sta succedendo, senza dimenticare aspetti, perché il nostro unico dovere è quello di raccontare i fatti. Anche quelli scomodi.