di Andrea Follini
Il rischio che il conflitto israelo-palestinese vada nel dimenticatoio dell’informazione è reale. L’accavallarsi di notizie sul fronte internazionale ha visto distogliere l’attenzione dei media mondiali da quanto sta succedendo in Palestina. E questo non è certo un bene. Perché a Gaza si continua a morire; sotto le bombe, come di stenti. Gli appelli della Croce Rossa Internazionale e della Mezza Luna rossa per un cessate il fuoco immediato continuano; completamente inascoltati. Sono passati nove mesi da quel 7 ottobre. Un tempo enorme se sei sotto i colpi dell’artiglieria. Un tempo enorme anche se sei ostaggio di un gruppo di terroristi senza scrupoli. Gli accordi in Qatar per un cessate il fuoco che consenta la liberazione degli ostaggi ed un massiccio ingresso nella Striscia di supporti umanitari per la popolazione, sono di fatto fermi, anche perché Israele ha giudicato tiepida la reazione all’intervento militare con il quale, la scorsa settimana, si è attentato alla vita di Mohammed Deif, alto funzionario di Hamas. Operazione che è costata la vita a novanta civili palestinesi, mentre sull’avvenuta eliminazione dell’esponente terroristico, già obiettivo di altri sette attentati negli ultimi anni, non vi è ancora certezza. Il tentativo di eliminare Deif si è svolto in un’area dichiarata dall’esercito israeliano come sicura, dove cioè i civili potevano trovare rifugio dalle conseguenze delle operazioni militari svolte nella zona ed anche avere accesso a quel po’ di sostegno umanitario disponibile. Per tale motivo sono molte le proteste che si sono alzate nei confronti dei militari, fuori e dentro il Paese, ancora una volta denunciando la violazione del diritto internazionale, cosa della quale il governo di Israele non sembra assolutamente oramai più preoccuparsi. Sicuramente gli sviluppi delle ultime operazioni militari così come lo stallo nelle trattative, saranno oggetto del colloquio previsto a Washington la prossima settimana tra Netanyahu e Biden, con un Presidente Usa sempre più contrariato dalle politiche del premier israeliano ma desideroso anche che la questione trovi almeno una parvenza di risoluzione, con le elezioni presidenziali alle porte, ma anche con la sua stessa riconferma alla candidatura, seriamente in bilico. Questione sulla quale si è peraltro espresso anche il candidato repubblicano alla vice presidenza D.J. Vance, chiedendo al premier israeliano una rapida fine delle ostilità. Indice di quanto la vicenda sia spinosa, da entrambi i lati della disfida presidenziale. Sul fronte interno non cessano le proteste nei confronti del governo di Tel Aviv. I parenti degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas hanno capeggiato una manifestazione la scorsa settimana che ha bloccato l’autostrada della capitale, chiedendo un’immediata ripresa delle trattative. Ma per i sostenitori di Netanyahu c’è un ulteriore grattacapo, che viene dagli ultra ortodossi, i cui figli dopo la sentenza in tal senso della Corte suprema israeliana, sono chiamati a partecipare alla coscrizione obbligatoria, che fino a qualche tempo fa li vedeva esentati. Questo sta scaldando ulteriormente gli animi, specie nei confronti dei vertici militari ritenuti dei traditori, contribuendo all’instabilità di questo governo, attaccato sempre più su fronti diversi all’interno del Paese. Tenere alta l’attenzione su quanto sta succedendo in Palestina deve restare una priorità, specie nel mondo occidentale, perché solo con una informazione trasparente i crimini che si stanno consumando verso la popolazione civile possono trovare la giusta condanna. In questo senso va anche la richiesta avanzata al governo israeliano da parte della stampa libera internazionale di poter entrare a Gaza, verificare sul campo la situazione dei civili, con l’obbligo per il governo di garantire la sicurezza dei giornalisti. Richiesta che è ancora rimasta lettera morta.