di Stefano Amoroso
Meloni vuole negoziare con Trump usando un approccio morbido, questo è quello che ha ribadito al Consiglio Europeo dello scorso 3 febbraio convocato per parlare di difesa, ma dove alla fine si è parlato principalmente di dazi. Il suo approccio è completamente opposto a quello di governi come quello francese, e sotto sotto spera che l’Italia possa trarre giovamento dal piccolo vantaggio tattico che la stessa Meloni ha acquisito, andando per prima tra tutti i capi di governo europei ad omaggiare Donald Trump, e recandosi perfino al suo insediamento come Presidente, unico capo di Governo straniero insieme all’argentino Milei. La speranza, non tanto celata, della Meloni, è quella di costruirsi un ruolo da intermediario tra l’Europa e gli Stati Uniti. Il ragionamento è che, in ogni caso, se il negoziato dovesse fallire, allora sarebbe la Ue, e quindi la Von der Leyen, a metterci la faccia e dover reagire duramente con dei dazi uguali e contrari a quelli statunitensi. In caso di successo, invece, la Meloni si vede già nel ruolo di una novella Churchill, leader morale ed ispiratrice politica di un Occidente che torna ai suoi veri valori ed alle sue origini. Purtroppo per lei, come hanno dimostrato i fatti, ha sbagliato interlocutore: Donald usa certamente la minaccia dei dazi per negoziare ed ottenere altro, ma se dall’altra parte non intravvede una determinazione uguale e contraria, va avanti come uno schiacciasassi. Il Canada ed il Messico hanno appena ottenuto la sospensione dei terribili dazi al 25% minacciati da Trump, in cambio di una maggior cooperazione nella lotta contro l’immigrazione illegale e, soprattutto per quanto riguarda il Messico, nel contrasto ai cartelli della droga. L’Europa, che non condivide frontiere fisiche con gli Stati Uniti, cosa può promettere per evitare dazi? Molto probabilmente, l’aumento significativo delle spese militari (Trump ha chiesto di portarle al 5% del Pil ma i più militaristi tra i Paesi europei sono appena al 2%, per cui è probabile che si chiuda al 3,5% del Pil) e farsi carico della ricostruzione in Ucraina. In questo modo il nostro export negli Stati Uniti sarebbe salvo, ma ad un prezzo spaventoso per la nostra economia e dovendo tagliare molte altre spese, tra cui quelle sanitarie, per far posto alle spese militari. Meno ospedali e più caserme, insomma, meno medici e più carrarmati, pochi infermieri e molti aerei da combattimento. Se, invece, l’Europa volesse andare a vedere le carte del bullo Donald, probabilmente scoprirebbe che il suo è un bluff. Infatti, in epoca di globalizzazione, nessuna economia prospera grazie ai dazi, che anzi comportano un aumento dei prezzi, e quindi inflazione, e costi per i cittadini del proprio Paese. Quasi nessun Paese al mondo adotta un regime di assoluto libero commercio. Possono beneficiarne piccole economie commerciali poste in luoghi geografici particolari, come Singapore, ma non economie grandi e complesse come quelle europee o statunitense. Per questo, i primi avversari di Trump nella partita dei dazi sono gl’imprenditori americani. Anche perché gli Stati Uniti esportano soprattutto grazie alle multinazionali, che trasferiscono beni e servizi da una sede all’altra nel mondo. Quindi aumentare i dazi avrebbe un effetto diretto, ed assai negativo, sui profitti di queste aziende e sui ricchi dividendi degli azionisti, che in molti casi hanno sostenuto, sia finanziariamente che mediaticamente, la campagna presidenziale dell’ex palazzinaro di New York. Pertanto, minacciare di colpire al cuore gl’interessi di Donald e del suo cerchio magico, avrebbe un grande effetto. Il problema è capire come ci si vuole presentare a questo incontro. Perché se si è uniti si può riuscire a spuntarla, mentre se si è divisi, magari perché qualcuno sogna di farsi immortalare in una foto a tu per tu con il presidente della superpotenza nordamericana, non si ottiene nulla. Un negoziato è fatto di molte fasi, e questa è una di quelle in cui bisogna mostrare i muscoli e fare la faccia feroce. Dopo di che, è ovvio che dazi elevati non convengono a nessuno, su nessuna delle due sponde dell’Atlantico. Ed è altrettanto evidente che l’Europa deve fare di più per la propria difesa. Ma è altrettanto evidente che non si può agire sotto minaccia di un capo di governo straniero e come delle marionette in mani altrui. L’Italia di De Gasperi, distrutta ed in macerie dopo la Seconda Guerra Mondiale, seppe ripartire dal suo orgoglio e dalla difesa della sua dignità. Sarebbe opportuno che la leader Meloni, che si autodefinisce patriota, studi i grandi esempi del passato della storia della Repubblica, da De Gasperi a Craxi.