L’Ucraina resta un campo minato. Per il governo.

di Stefano Amoroso

Il pasticcio combinato nel vertice di maggioranza di fine agosto, a proposito del sostegno italiano all’Ucraina, è di quelli gravi e destinati a lasciare il segno. I fatti sono noti: al termine del vertice di maggioranza a quattro (tra Meloni, Salvini, Tajani e Lupi), che ufficialmente doveva servire per serrare le fila e concordare l’agenda politica per i prossimi mesi, esce un comunicato che ogni partito membro della maggioranza consegna ai giornalisti. Il problema è che la versione data dalla Lega, a proposito della guerra in Ucraina, recita: “appoggio a Kiev ma contrari a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini” che non coincide con quanto affermano gli altri componenti della maggioranza. Conseguenza: scoppia il panico all’interno del Governo e della maggioranza. Dopo un po’ la Lega ritira la versione diffusa, e ne viene data una nuova alla stampa. Sul punto dell’Ucraina dice semplicemente che esiste una “condivisione sulla crisi in Medio Oriente e sulla posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina”. Interpellati sulla questione, al Governo spiegano che, per la fretta, la Lega avrebbe diffuso una bozza del comunicato. Tutto risolto? Neanche per sogno. Infatti, la notizia rimbalza immediatamente sulle agenzie di stampa di tutto il mondo, ed arriva a tutte le cancellerie del globo. Houston, abbiamo un problema. Poche ore prima, a Bruxelles, l’Italia si era ritrovata isolata, insieme alla sola Ungheria, nel negare con forza ogni uso di armi europee in territorio russo. In pratica, quello che ormai è stato accettato sia a Washington che a Parigi, a Londra, Berlino ed in quasi ogni altra capitale occidentale, cioè di poter colpire le basi logistiche, missilistiche e gli aeroporti militari russi da cui si bersaglia l’Ucraina senza sosta, desta ancora paura e repulsione a Roma e Budapest. Due indizi, come diceva Agatha Christie, fanno una prova. E l’Italia, in poche ore, ha fornito la prova di non voler sostenere fino in fondo l’Ucraina, proprio ora che servirebbe uno sforzo aggiuntivo per portare finalmente al tavolo delle trattative una Russia stanca e sfibrata. E invece, scegliendo di non colpire le basi russe da cui si bersaglia l’Ucraina, si costringe quest’ultima a combattere una guerra solo difensiva, peraltro in carenza di soldati e munizioni. È evidente che il Governo Meloni (tutto, nella sua interezza) guarda con attenzione e preoccupazione ai sondaggi che indicano che la popolazione è stanca di guerre e morti, e cerca di andare incontro a paura e stanchezza diffusi. Il problema, però, è che l’Italia non può permettersi di tirarsi indietro proprio ora, sul fronte ucraino. Non possiamo farlo per vari motivi: la delicata trattativa per avere un Commissario di peso nella nuova Commissione Ue, nella quale la naturale posizione dell’Italia è messa in discussione ed insidiata da altri Paesi, dopo la serie di gravi errori commessi dalla Meloni in sede di politica europea. Poi c’è il problema di sostenere la candidata dei Democratici Usa alle prossime presidenziali, la Harris: liberal, globalista e filoeuropea, se vincesse garantirebbe la continuità nei rapporti transatlantici. Se invece vincesse Trump, la sua politica isolazionista e protezionista colpirebbe pesantemente i Paesi che esportano molto negli Stati Uniti, tra cui l’Italia. Per tutto questo, dovremmo puntare sulla coesione con Bruxelles e con l’Europa come un’assicurazione sulla vita della politica estera italiana. E invece, proprio in questo delicato frangente, rischiamo che i piccoli calcoli della politica interna prevalgano sulla visione di lungo periodo. Naturalmente, se quello della maggioranza fosse un vero e sincero afflato pacifista, motivato da profonde e radicate convinzioni etiche e morali, non ci permetteremmo di criticarli così duramente. Tuttavia, con tutto il rispetto, Tajani non ci sembra Tiziano Terzani, la Meloni non è Dorothy Day e Salvini…è Salvini, purtroppo. L’invasione russa dell’Ucraina non è stata mai condannata veramente e fino in fondo da Salvini. In questo, il leader del gruppo dei “patrioti europei” si trova in compagnia di alcuni partiti nazionalisti del centro ed est Europa e maggiormente in sintonia con i neonazisti della Afd tedesca, benché espulsi dai patrioti, che non con la sua alleata di Governo, Giorgia Meloni. Il problema di Salvini e della Lega non sono tanto i soldi ricevuti da Putin ed i legami ideali con gente come l’ideologo Dugin, ma è la grande difficoltà, insita nel dna della Lega, a guardare oltre i confini locali e regionali, per vedere la politica estera e la geopolitica. Non è un problema oculistico, ma di mentalità e priorità: e per cambiare quella, ahinoi, non basta un buon paio di occhiali.

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