di Stefano Amoroso
l poker è anche e soprattutto raccontare una storia. E quelli che sanno bluffare raccontano storie convincenti. Siccome la politica, in certi momenti, è la cosa che più somiglia ad una partita a poker, nell’uno e nell’altro caso non ci sono scuse: una persona che sa bluffare è tale perché è credibile. Ricordando il famoso esempio del venditore di un’auto usata, da un esperto politico molti comprerebbero, eccome, quello che sta provando a proporre con astuzia e metodo. A Giorgia Meloni il bluff con le istituzioni europee non è riuscito perché non c’erano le premesse: innanzitutto, la maggioranza che sosteneva la precedente commissione è rimasta pressoché intatta, poiché i pochi seggi persi dai Socialisti e Democratici, o dai liberali di Renew, sono stati compensati da quelli guadagnati dai Popolari. In secondo luogo, il momentaneo successo del gruppo dei Conservatori e Riformisti (ECR) guidato dalla Meloni, potrebbe durare veramente poco: diversi parlamentari del Pis polacco, che in patria combattono una lotta all’ultimo sangue contro i popolari guidati da Donald Tusk, vorrebbero un’opposizione dura e senza sconti alla prossima Commissione guidata proprio dagli alleati di Tusk, e per questo sono pronti ad abbandonare l’ECR, che così perderebbe 20 europarlamentari in un colpo solo. In terzo luogo, il gruppo a destra dell’ECR, ovvero l’ID di Le Pen e Salvini, che poi è il vero vincitore delle ultime elezioni europee, è pronto ad allargarsi ai partiti Fidesz del premier ungherese Orban, ai liberali cechi di Babis, fuoriusciti da Renew, e ad altri membri. Pertanto, a breve potrebbero superare l’ECR per numero d’iscritti. Infine, e non meno importante, i liberali di Renew stanno trattando nuovi ingressi tra i partiti che sono entrati per la prima volta nel Parlamento Europeo. A seguito di tutti questi movimenti, l’E- CR, momentaneamente terzo gruppo per dimensioni tra quelli presenti in europarlamento, potrebbe trovarsi presto al quinto o persino al sesto posto, superato persino dai Verdi. Addio sogni di gloria, dunque, per il gruppo guidato dalla Meloni. La premier italiana, tra i tanti errori commessi, ne ha fatto uno veramente grossolano: pensare di dare la scalata al potere europeo guidando un gruppo euroscettico, mentre come Presidente del Consiglio italiano metteva in campo politiche socio-economiche in linea con i dettami europei. Una politica a due facce, se vogliamo, che da un lato voleva rassicurare i poteri forti europei, e dall’altro avere una forza consistente da giocare nelle trattative. In realtà, come abbiamo visto, dopo la sua nomina a Presidente del Consiglio italiano, la nostra underdog non è stata affatto rifiutata o messa ai margini dei consessi che contano, sia in Europa che nel resto del mondo: ha incontrato tutti i potenti della Terra (tranne Putin, per ovvi motivi), ha sviluppato una calorosa amicizia con Zelensky e con l’indiano Modi, è stata ricevuta affettuosamente per due volte alla Casa Bianca da Biden, ha sviluppato un dialogo proficuo con la Von der Leyen e con la Presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola. Quindi, nessuna ostilità o chiusura preconcetta. Solo con Macron le cose sono andate piuttosto male sin da subito: troppo grandi le distanze su temi decisivi come migranti e politiche per la cooperazione in Africa, e troppo grande la paura dello stesso Presidente francese di mostrarsi comprensivo ed amichevole nei confronti di una rappresentante della destra post-fascista come la Meloni, che ha numerosi punti di contatto con la sua grande rivale interna, Marine Le Pen. È stato proprio il sostegno che la Meloni ha mostrato pubblicamente alla rivale di Macron a creare una rottura, per ora insanabile, con quest’ultimo: un’invasione di campo nella politica interna francese che non è piaciuta per nulla e che è stata combattuta con veemenza. Anche perché, come si è visto nelle ultime settimane, il partito del Presidente è in rotta quasi dappertutto, e per evitare la scomparsa dovrà fare un patto di desistenza con il Nuovo Fronte Popolare della sinistra ed ogni altro partito che sia contrario all’estrema destra francese. Altri acerrimi nemici della Meloni sono il premier spagnolo Sanchez (la Meloni ha più volte sponsorizzato la destra post-franchista di Vox) e, come dicevamo prima, il primo ministro polacco, Tusk. L’opposizione di Scholz, invece, sembra più dovuta alla volontà di non creare spaccature con un amico e collega di partito (Sanchez) con lo storico alleato francese, e con un Paese importante per gli equilibri geopolitici europei, come la Polonia. In Europa si può stare in molti modi, ma quello scelto dalla Meloni (dialogante con le istituzioni europee, ma fortemente aggressiva sul piano politico verso quelle stesse forze che esprimevano le istituzioni di cui sopra) non sembra portare a grandi risultati. Anzi, la espone al ripetersi di figuracce come quelle delle ultime settimane. Giorgia resta in panchina, per ora, e fuori dalla gara per i posti che contano. In attesa che succeda qualcosa che la rimetta in gioco. L’Italia, purtroppo, segue il suo destino: e stare all’opposizione di quest’Europa, con i nazionalismi che riemergono prepotenti, ed una procedura d’infrazione che pende sulle nostre teste, è un grande problema che richiede urgenti soluzioni.