La sanità sempre più privata mortifica la dignita

di Daniele Unfer

Una nazione che non si occupa della cura dei propri cittadini è destinata a fallire. Sembra una banalità ma purtroppo è quanto dicono costantemente i dati sugli investimenti sanitari, non da ieri, ma ormai da diversi anni. La novità oggi si trova nella accelerazione della dismissione dello Stato dall’impegno per la salute pubblica con l’ingresso progressivo del mondo privato, in particolare quello assicurativo, a sostituzione di un principio che dovrebbe essere garantito dalla Costituzione: quello della salute pubblica sancito dall’articolo 32. Invece ancora una volta i dati drammatici del Rapporto della Fondazione Gimbe sulla sanità certificano, di fatto, una tendenza al ribasso le cui vittime sono i cittadini spesso costretti al triste fenomeno della migrazione sanitaria se non addirittura della rinuncia alle cure. In alcuni territori l’assenza di presidi di prossimità sono la rappresentazione plastica di quello che sta succedendo a macchia di leopardo in tutto in territorio italiano. Un sistema sanitario malato che suggerisce al presidente della Fondazione Nino Cartabellotta la creazione di un nuovo patto politico e sociale, che superi le divisioni ideologiche e avvicendamenti dei Governi. Perdere il SSN non significa solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto mortificarne la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi. È per questo che la Fondazione Gimbe ha aggiornato il Piano di rilancio del SSN con un programma in tredici punti che prescrive la terapia necessaria a salvare il nostro SSN malato. Un piano che ha come bussola l’articolo 32 della Costituzione ed il rispetto dei principi fondanti del SSN e mette nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con risorse adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna riorganizzazione. Per attuare questo piano, la Fondazione Gimbe considera prioritario il riconoscimento nel SSN come un pilastro della nostra democrazia. Insomma, uno strumento di coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico dell’Italia. Questo in sintesi il messaggio della Fondazione, che immagina un patto per salvare il bene comune, individuato nel servizio sanitario, come l’unica strada per la tutela dei cittadini. Cartabellotta divide il patto in tredici punti, per una terapia ne cessaria. Ma il malato questa volta non è un singolo paziente ma tutto il sistema sanitario, vittima di un sottofinanziamento ormai cronico. Un rapporto che arriva alla vigilia della presentazione di una manovra di bilancio allarmante, con il Ministro dell’Economia Giorgetti che ha già invitato i ministri a tagliarsi i fondi. Una sorta di spending review autopunitiva. Se i vari ministri, ormai tutti sul piede di guerra, non lo faranno da soli lo farà Giorgetti. Altro che aumenti per la salute, come promesso più volte. Siamo alla mortificazione di un sistema. Il Governo, purtroppo, sta investendo poco in sanità. Le stime nazionali parlano del 6% del Pil. Allo stesso tempo l’esecutivo non rimuove il tetto di spesa per l’assunzione di nuovo personale, paralizzando di fatto l’operatività delle strutture dedicate alla medicina del territorio. La posizione dell’Italia è quella di fanalino di coda dal 2008 nei Paesi Ocse e in Europa per la spesa pubblica in sanità, con differenze ancora più evidenti e incolmabili oggi rispetto al 2008, quando erano ancora minime. L’imperativo è quello di aumentare il finanziamento perché non si capisce di quale politica sanitaria si possa discutere quando l’intero sistema vive in una situazione di grave carenza. Le liste di attesa sono insopportabilmente lunghe. Una attesa troppo lunga vuole dire rimandare diagnosi e cura a tempi ignoti. L’unica novità introdotta dal Ministro della Salute è quella di aumentare le ore di lavoro per i sanitari per smaltire l’enorme arretrato diagnostico. Pannicelli caldi: insufficienti a far uscire il Paese da una emergenza vera e propria. Il rischio e quello del crollo del Servizio sanitario nazionale: non solo il Sud, ma anche il Nord del Paese rischierebbe di arretrare in Europa. La lezione del Covid, con tutto il suo carico di drammaticità, evidentemente non è servita a nulla.

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