di Alessandro Silvestri
Nel primo semestre 2024 il bollettino inarrestabile dei morti avvenuti sul luogo di lavoro, non accenna a calare. Anzi, rispetto ai dati 2023, dobbiamo registrare ancora un aumento che porta alla cifra di 523 decessi, senza contare che fuori dalla fredda statistica, restano coloro che vanno o tornano dal lavoro, i cosiddetti morti “in itinere”. In questo caso siamo già complessivamente a 735. Lo stesso INAIL a fine giugno, pubblicando i dati dei primi cinque mesi dell’anno, denunciava l’aumento dei decessi sul luogo di lavoro e delle malattie professionali, +24% rispetto a maggio ‘23. Brandizzo, Firenze, Suviana, Palermo…i disastri più eclatanti, quelli che tengono accesi i riflettori mediatici per qualche giorno in più del solito, ci parlano e mandano un messaggio fin qui inascoltato, da chi oggettivamente ha la possibilità di incidere fattivamente per arginare il dramma. Una tragedia sociale e civile, che fa il paio con la precarietà, che è anche quella di chi ha un lavoro fisso, ma malpagato, e un alloggio inadeguato a far fiorire e crescere dignitosamente una famiglia. Un settore quello del lavoro in Italia, ampiamente sotto la soglia della decenza, da qualsiasi punto lo si osservi. Anche al netto della ministra Calderone (una che dovrebbe essere del “mestiere”) che oltre ad aver dichiarato a giugno “guerra al caporalato” ha recentemente aggiunto che quest’anno le morti “bianche” sono in calo rispetto al ‘23. Complimenti dunque anche al suo staff di via Veneto, per la clamorosa gaffe. Nel palazzo dedicato a Marco Biagi, evidentemente sono troppo indaffarati coi lustrini e le paillettes della propaganda, per occuparsi seriamente dei dati reali. Senza contare che uno dei settori più colpiti è quello dell’agricoltura, dove caro ministro Lollobrigida, ancora nel 2024 non solo non siamo riusciti ad estirpare la piaga del caporalato, ma è il settore dove il numero dei lavoratori sconosciuti all’INAIL è il più alto in assoluto. A livello nazionale siamo complessivamente intorno al 40% e alla UIL (alla quale va un plauso per il flash-mob organizzato nelle piazze italiane, con le bare di cartone che attestano visivamente l’entità della sciagura, e sensibilizzano l’opinione pubblica) hanno affrontato il tema dei processi certi per le morti sul lavoro, visto che da dopo la riforma Cartabia, la maggior parte di essi cadono in prescrizione. Bombardieri ha anche chiesto a Governo e Parlamento che per i reati relativi avvenga un passaggio di consegne tra le procure ordinarie a quelle distrettuali, che hanno evidentemente strumenti più efficaci per contrastare il fenomeno. E anche qui viene in mente una frase recente di Luciano Violante, che rivolto al centro-sinistra e in particolare al principale partito di opposizione, ha detto, a proposito della riforma sulla Giustizia: “certe riforme dovevamo farle noi”. Chi invece ancora non piange per il latte versato, nonostante lo sciopero generale incassato ad aprile, che qualche consiglio nottetempo avrebbe dovuto darlo, assieme ai risultati elettorali delle amministrative, è il Governo, con la Meloni molto occupata sulle questioni internazionali (si fa per dire) e soprattutto impegnata a mostrare l’affidabilità del governo italiano e della sua premier, nella tessitura della tela della formazione della prossima Commissione Ue. Sul fronte interno è tutto un dire in continuazione che aumenta l’occupazione, ma su che tipo di occupazione sia, il massimo silenzio. Perché non si può tacere che gli stipendi italiani, secondo i dati ufficiali, sono tra i più bassi non solo tra i principali Paesi dell’Unione, ma ormai siamo dietro anche a Irlanda, Austria e Finlandia. Mentre l’Ocse rileva che il nostro, in realtà, è l’unico Paese Ue dove gli stipendi sono addirittura calati (-2,90%) rispetto al 1990! Forse qualcuno pensa a Palazzo Chigi che trasformando con la bacchetta magica l’Italia nel Bangladesh della Ue si possa dare uno slancio fantastico al Pil, abbattendo contestualmente la disoccupazione? Intanto da noi ogni cinque ore, un padre o una madre di famiglia non torna a casa dal lavoro. Una miseria civile, sociale e morale, alla quale dovremmo ribellarci.