di Giada Fazzalari
Mezzo milione di persone sono scese in piazza per dire a Bibi Netanyahu che le vite delle persone, a cominciare dagli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, sono più importanti dei suoi disastrosi calcoli strategici. Che gli israeliani sono stanchi di sangue e orrore. Che abbandonare alla morte qualsiasi vita umana significa tradire i principi morali dell’esistenza stessa di Israele. E che Bibi, nel nome dei suoi personali interessi (primo fra tutti evitare che le inchieste di corruzione che pesano sulla sua testa lo mandino in galera qualora si dimettesse da primo ministro) non può continuare il suo disegno criminale di orrore e morte. Un primo ministro assediato, da tutti. Dai famigliari degli ostaggi, che chiedono un accordo subito per il cessate il fuoco. Che Bibi non vuole. Dal suo più importante alleato, Biden, che ha risposto secco con un “non si fa abbastanza” a chi gli chiedeva se il primo ministro israeliano stesse agendo correttamente a favore della liberazione degli ostaggi. Da migliaia di persone che sono scese, composte, in piazza e si riversano di fronte ai punti chiave del potere, perché sono stanchi. Dai ‘suoi’, con le clamorose richieste di dimissioni di un ministro di peso, il ministro della difesa Gallant. Dalla Corte penale internazionale che a maggio scorso ha chiesto un mandato d’arresto per Netanyahu, reo di aver commesso crimini contro l’umanità. Intanto i sei ostaggi israeliani tornano nella loro terra da cadaveri e aldilà del confine, a pochi chilometri da quella piazza, a Gaza, mentre quarantamila civili palestinesi sono morti sotto i bombardamenti, altri vivono in condizioni disumane: senza acqua, senza servizi sanitari, senza cibo. “I bambini hanno lo sguardo già adulto”, ci dice in una intervista a questo giornale Martina Marchiò, di Medici Senza Frontiere. “Si sente l’odore del sangue ovunque e gli operatori umanitari continuano a morire sotto le bombe, nessun posto è al sicuro”. A Gaza, dove l’umanità si è spenta e non è rimasto più neanche un briciolo di speranza.