Intervista di Giada Fazzalari
“Ricominciamo” è il titolo di una bella canzone di Adriano Pappalardo degli anni Settanta che, però, dopo lo scambio di battute tra i Segretari della Uil, PierPaolo Bombardieri, e della Cisl, Luigi Sbarra, proprio in occasione della conferenza stampa di presentazione del Concertone del Primo Maggio, è diventato il refrain per la ripresa dei rapporti unitari tra le tre Confederazioni. Ormai, da molti mesi a questa parte, le iniziative di mobilitazione hanno visto in piazza solo la Uil e la Cgil. Ora, però, per la Festa dei lavoratori, l’unità si ricompone e i tre Sindacati saranno a Monfalcone, per celebrare insieme quello che storicamente è il momento più iconico per l’intero movimento sindacale.
Allora, Bombardieri, ricominciamo davvero?
«Sui grandi temi si va insieme. I Sindacati sono una grande ricchezza anche quando hanno sensibilità diverse, anche quando hanno visioni diverse. Il tema è quello del lavoro e del futuro e sicuramente le Organizzazioni sindacali troveranno il modo di camminare in modo unitario»
Che Primo maggio sarà?
«Lo slogan scelto, quest’anno, da Cgil, Cisl, Uil è chiaro: “Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”. Così, i tre Sindacati confederali dedicano la giornata del Primo maggio al ruolo strategico dell’Europa, in un momento storico attraversato da molte crisi, ambientali, sociali, fino alle troppe guerre ancora in corso. C’è la necessità di costruire un’Europa diversa, che sia più attenta ai temi del lavoro, della sicurezza sul lavoro, della salute, piuttosto che a quelli delle banche e delle rendite finanziarie. Chiediamo un’Europa solidale, più attenta alle esigenze delle persone. Bisogna tutelare la vita e dare solidarietà a chi resta indietro. Oggi le scelte alle quali stiamo assistendo non vanno sempre nella giusta direzione e le grandi questioni, quelle del lavoro, della precarietà, della sicurezza, dei salari, delle diseguaglianze, restano senza risposte efficaci e strutturali. Noi non possiamo far finta di niente e girarci dall’altra parte. Sentiamo la necessità di proseguire nel nostro impegno, affinché siano cambiate alcune scelte economiche che hanno privilegiato non il superamento delle diseguaglianze, ma gli investimenti sulla difesa».
È comunque anche un’occasione di festa e di musica con il tradizionale Concertone che si rivolge a centinaia di migliaia di giovani e che, quest’anno, si svolgerà non a San Giovanni, ma al Circo Massimo.
«Certamente, deve essere anche un momento di festa. Resta, però, un’occasione di mobilitazione e di riflessione, fatta anche attraverso la musica che è un linguaggio universale molto caro soprattutto ai giovani. Ed è a loro che dobbiamo rivolgerci, è a loro che dobbiamo pensare per capire quale Europa consegneremo a tutte queste ragazze e a questi ragazzi che saranno con noi in piazza per chiedere risposte di pace e di sviluppo».
Viene richiamato anche lo spirito della Costituzione: quella realtà è ancora viva nel nostro tessuto politico e sociale?
«Purtroppo, ci si è allontanati da quello spirito. L’articolo 1 è incentrato sul lavoro, ma quel principio è stato disatteso. Sono i numeri che lo confermano. Oggi ci sono due milioni di ragazzi, cosiddetti Neet, che non cercano lavoro né occasioni di formazione, un milione di lavoratori in nero, cinque milioni che attendono il rinnovo dei contratti scaduti. E se tutto questo non bastasse, ogni anno, ci sono più di mille morti e cinquecentomila incidenti sul lavoro. Sono numeri che dovrebbero far riflettere tutti, a prescindere dalle appartenenze politiche e dai Governi. Lo spirito della Costituzione, dunque, si è notevolmente allentato e noi abbiamo il dovere di portare all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica questa situazione rivendicando un recupero del valore del lavoro e della dignità della persona».
Il giudizio della Uil è stato molto duro anche nei confronti del Def. Cosa non va in questo documento?
«Nel Def non si parla di nulla: è un documento elettorale. Noi chiediamo chiarezza. Tra l’altro, l’Istat ha di fatto smentito i dati contenuti nel documento di qualche giorno fa, rivedendo al rialzo quelli relativi al deficit: si passa dal 7,2% al 7,4%. Le regole europee sono molto chiare: bisognerà rientrare dello 0,4% e questo non potrà che avere ripercussioni dal punto di vista economico e sociale».
Ne risentirà anche il welfare, dunque: con quali conseguenze per i pensionati?
«Le pensionate e i pensionati vogliono risposte sullo stato sociale e sul sistema sanitario che non è in grado di dare loro un’assistenza dignitosa né di garantire la sanità territoriale. Molti anziani, spesso non autosufficienti, restano da soli: il Governo ha fatto due decreti, ma non ha messo le risorse necessarie. Questo è un Paese che invecchia e, dunque, servirebbe dare più attenzione all’invecchiamento attivo. Servono risposte concrete, di dichiarazioni elettorali non se ne può più».
Come giudica l’astensione di tutti i partiti italiani sul Patto di stabilità?
«Abbiamo assistito a situazioni paradossali come quella per cui Fratelli d’Italia si è astenuta su un documento firmato dal Governo. Al di là di questo aspetto, è certo che si porranno problemi per il nostro Paese. Nel Patto di stabilità, sottoscritto da questo Governo con l’Europa, sono previste traiettorie di rientro che comporteranno inevitabilmente tagli sullo stato sociale, su sanità e sulle pensioni».
C’è il solito problema delle risorse che mancano sempre: dove si possono reperire?
«E io torno a insistere con la stessa riposta: bisogna andare a trovarle lì dove ci sono. Sono anni ormai che chiediamo l’applicazione di un’extra tassa sugli extra profitti, ma questo Governo ha fatto un passo indietro: ha prima promesso di tassare quelli delle banche e poi ha adottato una soluzione che ha finito con l’azzerarne il gettito. Mentre noi ne chiedevamo l’estensione ad altre realtà aziendali e alle multinazionali che, in periodo di pandemie e di conflitti bellici, hanno fatto registrare profitti da capogiro. Noi insistiamo su questo punto, così come chiediamo che vengano tassati i dividendi azionari alla stessa stregua di altri Paesi europei. Così facendo si potrebbero ottenere molti miliardi da utilizzare per ridurre le diseguaglianze e per puntare su uno sviluppo condiviso».
Il tema della sicurezza sul lavoro sta molto a cuore alla Uil. Oltre tre anni fa, è stata lanciata la campagna “Zero morti sul lavoro” che ha coinvolto personaggi della cultura, dello spettacolo e dello sport come testimonial di un impegno per sensibilizzare l’opinione pubblica su queste tematiche. C’è poca attenzione al problema?
«C’è la netta sensazione che ci sia una sorta di rassegnazione che porta a considerare queste tragedie come inevitabili, come un prezzo che sarebbe necessario pagare. Questo è inaccettabile perché il profitto non può valere più della vita umana. È una questione culturale, dunque, ed ecco perché occorre cominciare dalle scuole, per far comprendere alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi il valore della formazione e della prevenzione per scongiurare gli incidenti sul lavoro. Bisogna parlare della sicurezza sempre e non solo quando succedono le tragedie e occorre farlo anche a livello di comunicazione. Ecco perché abbiamo lanciato la campagna “Zero morti sul lavoro” e non potremo fermarci fino a quando non avremo raggiunto questo obiettivo».
Ma cosa sarebbe concretamente necessario fare per porre un freno a questa tragedia, a quella che lei stesso ha definito una “guerra civile”, con tre morti al giorno?
«Bisogna investire in sicurezza e questo non si è fatto e non si fa ancora a sufficienza. Servono più ispettori e più ispezioni, ma i due milioni da utilizzare a questo scopo non sono certo equiparabili agli oltre seicento milioni trovati in quarantotto ore per gli agricoltori che hanno protestato nei mesi scorsi. Serve una procura speciale, insieme all’istituzione del reato di omicidio sul lavoro. Serve introdurre una legge che impedisca alle aziende che violano le norme sulla sicurezza di partecipare ai bandi per gli appalti pubblici. Serve impedire i subappalti a cascata. Insomma, c’è ancora davvero tanto da fare su questo fronte. E questa battaglia noi continueremo a farla, tutti insieme, per il rispetto della vita e delle persone».