Intervista di Giada Fazzalari
Lorenzo Pregliasco, analista politico, esperto di comunicazione, è docente all’Università di Bologna, dove insegna al dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. È co-fondatore dell’agenzia di ricerche sociali e comunicazione politica “Quorum” e direttore del web magazine YouTrend. Giornalista pubblicista, ha scritto sulle più importanti testate italiane ed internazionali.
Alcune regioni si stanno attivando per arrivare alla richiesta congiunta del referendum; i partiti di opposizione, con le associazioni e i sindacati, si stanno mobilitando per la raccolta delle firme per l’abrogazione della Legge Calderoli. Qual è il sentimento degli italiani rispetto all’autonomia differenziata?
«C’è un sondaggio di Ipsos uscito qualche giorno fa sul Corriere che ci dice due cose. La prima è che allo stato attuale solo un terzo circa degli italiani andrebbe a votare con certezza un referendum sull’autonomia differenziata. Il secondo, che anche se c’è una prevalenza dei contrari, cioè di chi abrogherebbe la legge, si parla solo del trenta per cento. L’opinione pubblica, dunque, è molto frammentata. L’impressione che io traggo da questo è che la grande sfida per coloro che sono contrari all’Autonomia differenziata sia quella di far capire di cosa si tratta, che cos’è e che cosa può comportare in futuro. Al momento la consapevolezza e la conoscenza di questa misura è davvero molto limitata».
Dunque c’è da dedurre che i cittadini, non avendo ben chiaro quali siano gli effetti delle riforme del Governo – dell’autonomia come del premierato – ancora una volta potrebbero propendere per concedere fiducia all’Esecutivo, anziché entrare nel merito delle riforme?
«Questa è una possibilità che ha più chances di verificarsi se la vicenda si politicizza e se la campagna si mette sui binari della contrapposizione tra Governo e opposizione. In quel caso è chiaro che il voto diventa più politico e meno incentrato sulla materia oggetto del referendum. Al momento siamo in una fase in cui è minima la conoscenza della materia e la comprensione di che cosa implichi la riforma»
I leader delle tre forze di governo, Meloni Salvini e Tajani, preferiscono quindi non politicizzare perché hanno il timore di quello che gli italiani potrebbero consegnare nelle urne al referendum?
«Sull’autonomia differenziata credo che al centrodestra convenga tenere un po’ basso il volume perché è una riforma che non vede un favore unanime nell’elettorato di centrodestra. Inoltre è una legge contro la quale potrà eventualmente esserci un referendum abrogativo, quindi il centrodestra non ha nessun interesse ad alzare l’attenzione del dibattito».
Le esperienze di governi del passato insegnano che il tema delle riforme è un tema molto delicato. Se i cittadini decidessero di abrogare la Legge Calderoli, quali conclusioni dovrebbe trarne questo governo?
«Si è votato un mese fa per le elezioni europee: il centrodestra ha incrementato la percentuale di consensi che aveva raccolto alle elezioni politiche, quindi una valutazione politica l’abbiamo già avuta poche settimane fa. È chiaro però che un referendum può avere controindicazioni serie per un Governo, soprattutto se quel voto viene visto come un voto sul Governo più che sulla materia».
Quasi due anni dall’insediamento di questo governo. Che valutazione ne fanno gli italiani? La famosa luna di miele va ancora bene?
«La luna di miele ormai è stata superata e lo si vede anche nella valutazione dell’operato del Governo che noi tracciamo, monitorandolo costantemente. Non c’è un livello di approvazione come quello dei primi mesi e questo è fisiologico. Da pochi giorni è uscito il nostro sondaggio per Sky e abbiamo rilavato che c’è ancora il 41% di giudizi positivi sull’intero elettorato, quindi inclusi anche coloro che non votano. È un dato non ‘stellare’ ma nemmeno pessimo. Diciamo che non si vedono ancora sconquassi nell’opinione pubblica».
E sul fronte delle forze di opposizione? Cosa dovrebbero fare per ribaltare il risultato, per tornare a essere forza di governo?
«Devono identificare dei temi riconoscibili sui quali raccontare con costanza all’opinione pubblica la loro visione. E spiegare le ragioni per le quali invece il Governo non fa l’interesse del Paese. Individuare dei filoni su cui proporre una visione alternativa a quella del centrodestra. Il problema è che l’opposizione non è una. In realtà è piuttosto anomalo che sia così frammentata e segmentata l’opposizione. Se guardiamo a tante altre legislature, fatichi a trovare tre aree diverse di opposizione in competizione l’una con l’altra. Questo è un grosso limite del quadro politico per le opposizioni che deriva peraltro dalla sconfitta del 2022 e dalla divisione che c’è stata quell’appuntamento elettorale. È un po’ illusorio pensare che il Governo da solo si possa indebolire più di tanto agli occhi dell’opinione pubblica».
Uno sguardo all’America. Fino a quando c’è stato Biden la campagna elettorale è stata condotta da due leadership consumate. Non c’è più la capacità di fare selezione della classe dirigente?
«Bisogna dire che nonostante molti ritengano che siano leadership consumate, Trump ha comunque raccolto la gran parte dei voti di chi è andato a votare alle primarie, cioè di milioni di americani. Poi posso essere d’accordo sul fatto che sia una leadership da archiviare, ma questa è una valutazione mia personale. Nel caso di Biden, a inizio anno come sappiamo è passato dalle elezioni primarie, di fatto senza avversari perché nessuna altra figura del suo partito ha pensato che valesse la pena mettersi contro di lui, perché comunque era considerato il punto di unione del Partito Democratico. E in ogni caso la lezione che ci arriva dall’America è che il meccanismo delle primarie rende la politica contendibile e più democratica. Un fatto di cui noi in Italia avremmo bisogno».
La campagna di Kamala Harris deve ancora entrare nel vivo. I sondaggi danno la candidata democratica due punti sotto il candidato repubblicano. Se vincesse Trump come potrebbero cambiare i rapporti tra noi e l’America?
«Il cambio di candidato resetta un po’ la campagna e quindi dovremmo aspettare qualche giorno per avere una idea dello stato dell’arte dalla partita elettorale. Una eventuale vittoria di Trump da un lato non penso che avrebbe effetti giganteschi sulle relazioni geopolitiche, perché Trump non deciderebbe da solo. Dentro il partito repubblicano ci sono esponenti che hanno idee molto distanti dalle sue sulla Russia, sull’Ucraina ad esempio. Il partito repubblicano al congresso è fatto di falchi dal punto di vista della politica estera. Quindi va un po’ ridimensionata l’aspettativa di stravolgimento totale che si avrebbe con una sua elezione. In generale una presidenza Trump guarderebbe meno all’Europa e forse più alla Cina. Imporrebbe all’Europa di pensare un po’ di più alla propria difesa alla propria sicurezza, cosa che in effetti l’Europa non ha mai fatto negli ultimi settantacinque anni, affidandosi totalmente agli Stati Uniti. Una presidenza Trump da un certo punto di vista marginalizzerebbe di più l’Europa, un continente in evidente declino. Ma in un certo senso ci responsabilizzerebbe di più».