Intervista a Gian Domenico Caiazza: «Del Turco soffrì molto per quella lettera di Veltroni. Serviva coraggio per riconoscere infine che era innocente. Fu abbandonato»

Intervista di Lorenzo Cinquepalmi

Gian Domenico Caiazza è stato avvocato difensore di Ottaviano Del Turco lungo tutti i gradi di giudizio del suo processo. Già presidente dell’Unione delle Camere Penali, è stato uno degli avvocati che difesero Enzo Tortora.

 

Presidente Caiazza, in questi giorni di cordoglio per la morte di Ottaviano Del Turco, hai avuto molte occasioni di ripercorrere la vicenda giudiziaria in cui lo hai difeso. Per questo vorrei che ci discostassimo dagli aspetti tecnici del processo, francamente aberrante, che gli è stato inflitto. Cosa era rimasto di politico in Ottaviano Del Turco dopo l’esperienza dell’arresto e del processo?

«Tutto. Non ha mai smesso di essere un uomo politico, di pensare come un uomo politico, di seguire quotidianamente la vita politica, di appassionarsi. Di più: non ha mai smesso di essere un socialista e di pensare come un socialista. Rivendicava nelle parole e negli atti la sua natura e la sua fede. La scelta di partecipare a ogni udienza, primo ad arrivare e ultimo ad uscire; primo ad alzarsi in piedi all’annuncio dell’ingresso in aula dei giudici, ultimo a sedersi. Nella manifestazione del rispetto per l’istituzione rappresentata da persone che sembravano volerlo distruggere, c’era anche il rispetto per il modo con il quale aveva, a sua volta, rappresentato le istituzioni, da capo del sindacato, da parlamentare, da ministro, da presidente della sua Regione. E quindi, il rispetto per il suo ideale, che era sempre alla base di ogni sua scelta, di ogni sua decisione».

Dalle pagine di questo giornale, i socialisti, oltHai detto “sembravano volerlo distruggere”… Certo, a rileggere lo svolgersi della vicenda giudiziaria, la percezione di una volontà di far fuori Del Turco è forte. Chi lo voleva far fuori?

«Enucleiamo i dati oggettivi: in Abruzzo, come in tante altre Regioni, la sanità privata costituiva un grumo di interessi economici, e quindi politici, fortissimi. La spesa regionale in sanità, come ovunque, è l’ottanta percento di tutta la spesa, e per il privato era assorbita in maggior parte dal gruppo Angelini; subito dopo veniva il gruppo Pierangeli, che era pure presidente degli imprenditori sanitari. Sono i due principali accusatori nel processo. La campagna elettorale che porta Del Turco alla presidenza della Regione con una maggioranza travolgente, era stata tutta incentrata, con un taglio molto socialista, sulla rinascita della sanità pubblica, da ottenere con una spending review severissima sui fondi devoluti alla sanità privata».

E poi cosa successe?

«La costituzione di commissioni di verifica della spesa nella sanità convenzionata aveva dato corpo alle promesse elettorali ed evidenziato che la nuova giunta, e soprattutto il nuovo presidente, volevano davvero riportare la sanità pubblica e universale al ruolo assegnato dalla Costituzione e voluto dai socialisti con le riforme degli anni Settanta. Questa è la pistola fumante della persecuzione subita da Del Turco. Sulle tante mani che contribuirono a caricarla, a puntarla, a tirare il grilletto e ad assicurare la persistenza degli effetti letali del colpo, lascio la risposta all’intelligenza e all’onestà di chi leggerà, e magari ha già letto, le mie parole»

A quale aspetto ti riferisci precisamente?

«Soprattutto all’onestà, perchè Ottaviano era questo: un uomo onesto. Talmente onesto da non riuscire a credere, e poi a capire, come in processo potessero succedere le cose che sono successe a lui. Dopo il primo grado la concussione si sbriciola, riqualificata in corruzione, ma con assoluzione da 24 delle 27 presunte dazioni! In appello vengono soprattutto riconosciuti come insussistenti la miriade di reati di falso ideologico, abuso e omissioni di atti di ufficio contestati agli imputati, così dandosi atto della assoluta correttezza amministrativa dell’operato della Giunta. Nessuna clinica fu favorita, nessuna fu danneggiata indebitamente. Tuttavia, incredibilmente rimane in piedi l’accusa di associazione a delinquere. Infine, in Cassazione, evapora anche l’accusa di associazione e gran parte delle condotte contestate, ma incredibilmente, e qualcuno ha detto “farisaicamente”, per tre asserite dazioni di denaro la motivazione è stata giudicata sufficiente da una Corte che non può entrare nel merito ma solo giudicare la legittimità delle sentenze impugnate; in realtà, l’unica prova diretta era nelle parole di un uomo come Angelini, la cui parola in altri tribunali non vale nulla; gli unici riscontri erano fumosi e inconsistenti».

Una vicenda assurda che però non è finita bene..

«Per azzerare anni di processi, di gogna mediatica, di dichiarazioni roboanti di inquirenti, ci voleva più coraggio di quello disponibile, e così sulla reputazione di Ottaviano Del Turco è rimasta, per chi ha la malvagità di volerla vedere, una macchia che io non vedo. Per me era un uomo onesto, ingiustamente perseguitato. Un galantuomo.»

Non sei un giurista puro, anche tu hai assaggiato la politica. Ci hai già raccontato alcune sfumature politiche del tempo che hai trascorso con Del Turco negli anni dei processi: cosa diceva di quel partito che aveva contribuito a fondare, in cui aveva creduto?

«Quando Veltroni gli indirizzò la famosa lettera in cui gli augurava di poter dimostrare la sua innocenza, ne soffrì molto. Credeva ancora, meschino, che fosse l’accusa a dover provare la colpevolezza e non l’imputato a doversi discolpare. Ma si era anche reso conto di non aver capito tante cose. Di non aver capito che il giustizialismo della “gioiosa macchina da guerra” non era stato superato con la fondazione del Partito Democratico. Di non aver capito che la lezione di Di Pietro, una carriera prima giudiziaria e poi politica costruita sul massacro degli indagati, sulla colpevolezza a priori, sul “non poteva non sapere”, potesse trovare epigoni anche in Abruzzo. E di non aver capito che il sogno socialista di una sanità pubblica, universale ed efficiente, toccava interessi ai quali forse non erano del tutto estranee anche persone che, apparentemente, avrebbero dovuto essere con lui. Si era reso conto che, nel Partito Democratico abruzzese, quando arrestarono mezza giunta qualcuno aveva sorriso. E che, forse, quello che tanti socialisti ripetevano sull’odio inestinguibile verso di loro da parte di tanti ex comunisti ed ex democristiani della cosiddetta sinistra Dc, non era un’esagerazione».

La malattia e il processo: c’è una relazione?

«Ho visto Enzo Tortora e ho visto Ottaviano Del Turco: due galantuomini trascinati in carcere e sottoposti a processi basati sulle imposture di soggetti che, in un mondo normale, nessuno considererebbe credibili, e che tali diventano solo perché funzionali a un cortocircuito di interessi. Li ho visti lottare con la forza tranquilla dei giusti, fino alla fine. Ma l’impatto di un’esperienza simile su persone giuste e generose è devastante. Non c’è una prova scientifica di quello che dico, ma sono convinto che l’ingiustizia, anche quando disvelata al mondo, non è mai riparata del tutto e ferisce l’animo di un uomo giusto così profondamente da lederne irreparabilmente la spinta vitale».

Qualcuno crede che una relazione, in fondo, ci sia…

«Si, c’è una relazione: chi ha immolato Ottaviano Del Turco per gli interessi suoi e di coloro che avevano da trarne vantaggio, non gli ha rubato solo l’onore, ma anche la vita. L’onore glielo restituirà la storia, la vita no. Resta a piangerlo, e a rimpiangerlo, chi gli ha voluto bene, chi ha creduto in lui, chi ne ha condiviso la fede».

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