Intervista a Francesco Cancellato, direttore di Fanpage: «Meloni, ma quale “metodo da regime”, è democrazia» L’inchiesta sui giovani di Fdi che ha fatto incazzare mezzo Governo

Intervista di Giada Fazzalari

È stata l’inchiesta giornalistica che negli ultimi tempi ha fatto più clamore; tanto da provocare reazioni anche scomposte. Un lavoro coraggioso e puntuale, quello di Fanpage, che ha messo in luce (qualora ve ne fosse stato ancora bisogno) che esistono metodi che richiamano ad un fascismo che non è morto (e non è neanche in letargo), pseudo sommerso, che nell’avvento al governo della destra ha trovato una sua legittimazione. L’inchiesta è stata pubblicata in due parti: dopo la prima, la strategia di FdI è stata quella facile del silenzio; un tentativo, anche goffo per alcuni aspetti, di mettere tutto a tacere. Ma il clamore che l’inchiesta ha suscitato nell’opinione pubblica è esploso con la pubblicazione della seconda parte: riferimenti antisemiti, frasi abiliste e razziste, professati da esponenti di Gioventù Nazionale, legati in vario modo a personaggi vicini alla premier. FdI cambia strategia e si affida alla linea della delegittimazione del lavoro giornalistico, arrivando a mettere in discussione la libertà di stampa, ovvero il metodo stabilito dai giornalisti di Fanpage.

Dopo un lungo periodo di silenzio da parte della Presidente del Consiglio, dopo la seconda parte dell’inchiesta è arrivata una sua reazione. Si sono attaccati i giornalisti sul metodo, si è parlato di violazioni deontologiche, si è perfino messo in mezzo la democrazia. Le parole di Giorgia Meloni ti hanno stupito?

«Le parole di Giorgia Meloni hanno due valenze: la prima è quando afferma che Fratelli d’Italia non è la casa per nostalgici, razzisti e antisemiti, sostenendo che non fosse al corrente di quanto successo e che farà pulizia nel suo movimento giovanile. Sono rassicurato da queste parole. Ovviamente eserciteremo il nostro ruolo di giornalisti e vigileremo per verificare se passerà ai fatti e se darà seguito a questa sua volontà. Non ho dubbi che lo farà».

Quale altra valenza ha la risposta di Meloni?

«Nell’altra faccia della medaglia c’è il discorso sui “metodi del regime” che lei ha richiamato, sul quali noi non possiamo far altro che, intanto, rintuzzare le accuse che ci vengono poste. Per esempio noi non abbiamo mai reso riconoscibili minorenni o personaggi non pubblici ancorché maggiorenni. Abbiamo alterato le voci e abbiamo coperto i volti di chiunque non avesse un ruolo all’interno del partito che ne giustificasse lo status di personaggio pubblico. Dall’altro lato, osservo che nel giro degli ultimi mesi sono state prodotte in Europa almeno tre inchieste molto importanti. Penso a quella in Germania sul giornale Correctiv su Afd, come a quella di Channel Four in Inghilterra sul partito di Farage o a quella in Svezia di TV4 sui democratici svedesi. In tutte e tre le inchieste è stata fatta un’infiltrazione all’interno dei rispettivi partiti politici e nessuno ha posto temi di legittimità e di conformità al diritto costituzionale di associarsi in partiti politici. I metodi del regime sono quelli in cui il governo fa ingerenza sui giornali, li spia, li controlla, ne limita la libertà. Se un giornale indaga su un partito quello non è “metodo da regime”, si chiama democrazia».

Quindi da Fdi l’hanno buttata più sul metodo che sul merito?

«Tra la prima e la seconda puntata dell’inchiesta hanno fatto calare una bella coltre di silenzio. Poi, il merito lo hanno condannato. Certo, alcuni un po’ sbrigativamente e con troppi distinguo».

Per chi, invece, si pone delle domande e vuole entrare nel merito: l’impressione che hai avuto è che l’utilizzo di certi simboli e di certe affermazioni da parte dei giovani meloniani, sia più goliardia oppure sono “valori” e idee in cui credono davvero?

«Poniamo il caso sia goliardia: se quel tipo di simbologia goliardica diventa però uno strumento di formazione politica all’interno dell’organizzazione giovanile, che si sostanzia in campi estivi in cui si fa formazione, o in librerie piene di testi di estrema destra all’interno delle sezioni, in chat in cui la presidente si lascia andare a battute abiliste, antisemite, razziste e nostalgiche, ecco secondo me, anche fosse goliardico lo spirito, tutto questo alla fine si sostanzia in formazione politica. Un esempio: se ti lasci andare mentre sei sul divano con i tuoi amici, sei in un ambito privato. Ma se fai affermazioni inopportune come quelle che abbiamo letto in quelle chat, allora assumono un altro valore e si deve rispondere e dar conto in ragione del ruolo che non è un ambito privato ma pubblico».

Cosa ne pensi della reazione di Gianfranco Fini che, in una recente intervista, distingue nettamente i simboli e i metodi della gioventù di Fdi dal percorso che invece ha fatto Giorgia Meloni. Secondo te è davvero così?

«Fini ha detto che manderebbe quei ragazzi tutti a vedere i campi di concentramento di Auschwitz e gli farebbe vedere tre volte di fila Schindler’s List e questa secondo me è una bellissima risposta perché ad un deficit di formazione da parte di chi dovrebbe formare i quadri politici del futuro di un partito, lui risponde con un altro tipo di formazione. Può esserci una discrasia tra la linea politica di Giorgia Meloni e quello che questi giovani dicono e fanno. Ecco, forse consiglierei a Giorgia Meloni di occuparsene di più. Quello che forse è mancato, è magari una visita ad Auscwitz ed una visione di Schindler’s List in più. Ci fossero stati, magari non parleremmo oggi di questa discrasia di valori e di questo disallineamento».

Il tema della libertà di stampa è emerso con forza anche in occasione dell’inchiesta di Fanpage. Secondo il report 2024 di Reporters sans Frontieres, nella classifica internazionale sulla libertà di stampa, l’Italia perde cinque posizioni, passando dal 41mo posto al 46mo. L’impressione è che non ci sia più il tema del “se” ma del “quanto” sia in pericolo la libertà dei giornalisti. Sei d’accordo?

«Le classifiche le fanno altri e non le commento da un punto di vista sistemico. Però credo che noi, nel nostro piccolo, come giornalisti dobbiamo esercitare al meglio la nostra libertà e la nostra indipendenza, perché siamo noi gli elementi su cui si costruiscono quelle classifiche. Non dobbiamo avere paura e non dobbiamo soprattutto autocensurarci quando non si viene censurati. Per quello che è il pezzo di responsabilità di giornalisti, bisogna riprendersi spazi di indipendenza, darsi da fare affinché ci siano presìdi nell’interesse del lettore e della pubblica rilevanza di una notizia, anziché spazi di favore all’amico, all’editore o al potente di turno».

Hai scritto recentemente un libro che si chiama “Nel continente nero. La destra alla conquista dell’Europa”. Ecco, la destra cresce ovunque nel mondo e via via muta. Da conservatrice e liberale, come eravamo abituati a conoscerla noi, è cambiata in frontista, nazionalista, sovranista: abbiamo visto di recente Le Pen in Francia, Trump in America, Abascal in Spagna, Weidel di Afd in Germania. Che differenza c’è tra la destra italiana e quella che vediamo crescere nel resto del mondo? Anche qui sta mutando o è già mutata?

«In Italia il cordone sanitario che divideva le estreme destre nazionaliste, post-fasciste, dalle destre democristiane è saltato nel ’94. Noi siamo stati il primo Paese a rimettere in gioco queste destre e dar loro la responsabilità di governo. L’Italia è andata molto avanti nel processo: è il primo Paese che ha avuto una coalizione con all’interno una destra post-fascista che ha vinto le elezioni, è stato il primo Paese in Europa che ha espresso una Presidente del Consiglio post-fascista nell’Europa occidentale. A mio avviso il fatto che siamo più avanti nel processo ha una natura ambivalente: da un lato queste destre sono legittimate come destra di potere e dall’altro siamo il viatico e l’esempio per tutte le destre che all’estero vogliono conquistare il potere. Quindi da un centro di punto di vista, secondo me, più che chiederci se siamo arrivati anche noi a maturazione di quel processo, potremmo chiederci: “vediamo se il resto del continente sta arrivando a maturazione del processo italiano”. L’Italia da questo punto di vista è un modello. Positivo o negativo non lo decidiamo noi».

L’opposizione a questo tipo di destra è pronta? È in grado di arginare questi fenomeni e fare fronte a tutto quello che abbiamo visto nella vostra inchiesta?

«L’opposizione italiana ha uno scopo: quello di organizzare un campo dell’alternativa e provare a vincere le elezioni contro qualunque destra, moderata o estrema. Ma io penso che il compito di arginare quelle pulsioni spetti alla destra stessa. È la destra che deve scegliere chi vuole essere. La sinistra deve provare a batterla>>.

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