di Lorenzo Cinquepalmi
Bobo Craxi, nel governo Prodi del 2006, aveva la delega ai rapporti con l’Onu quale Sottosegretario agli Affari Esteri.
Quando eri l’interlocutore ONU per il governo italiano l’Unifil c’era già. Cosa pensi di questa missione?
«La Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (United Nations Interim Force in Lebanon) nasce con le risoluzioni 425 e 426 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 1978; è stata implementata proprio nel 2006 con la risoluzione 1701 che le assegnava il compito, oltre che di separazione degli stessi contendenti di oggi, di sostenere l’esercito regolare libanese nelle operazioni di disarmo delle milizie irregolari di Hezbollah, ovvero del Partito di orientamento religioso-islamico legato alla Repubblica Iraniana, che agisce nella società multiconfessionale libanese come un vero e proprio corpo estraneo. Fermo il carattere multinazionale della missione militare, in forza dell’ampiezza delle relazioni di Italia e Francia con le forze in gioco nello scacchiere mediorientale, i due Paesi sono stati posti di fatto alla guida della stessa, che nel tempo, oltre a quello militare, ha assunto anche un carattere fortemente politico».
Dal tuo punto di vista privilegiato, avendo vissuto in prima persona, per l’Italia, quella stagione, quale fu il ruolo del nostro governo?
«Il governo guidato da Romano Prodi ha visto crescere l’impegno italiano proprio in continuità con l’impegno storico degli italiani in Libano: la prima forza multinazionale davvero consistente (all’epoca non ancora denominata dall’acronimo Unifil) fu inviata sul teatro della guerra civile libanese dopo la cacciata dei fedayn palestinesi nel 1982. E proprio nei campi palestinesi martoriati di Sabra e Shatila, di Burj el Barajneeh, e nelle strade di Beirut ovest, si trovava il nostro contingente militare. Anche all’epoca il contingente fu oggetto di diversi attacchi militari condotti dalle milizie irregolari che imperversavano nella città, resa spettrale dai continui bombardamenti che caratterizzavano quella guerra civile. Nel corso di una perlustrazione notturna trovò persino la morte uno dei nostri militari, un maró del San Marco. Su questo pregresso, nel 2006 il contributo, numerico e qualitativo, dei soldati italiani in Libano era tenuto in grande considerazione dall’Onu, dagli altri Paesi che contribuivano alla forza multinazionale e dalle stesse parti in conflitto».
E oggi? I nostri soldati sono ancora là ma il clima sembra radicalmente cambiato…
«Le attuali condizioni della missione multinazionale sono mutate dal momento in cui le ostilità ai confini del sud del Libano hanno ripreso a essere più frequenti e robuste, dopo un lungo periodo di tregua che, per la verità, era stato stipulato tra il Libano e Israele; basti pensare che nel 2022 era stato raggiunto un accordo fra i due governi (da sottolineare il fatto che il governo libanese è partecipato da ministri di Hezbollah) per il comune sfruttamento delle risorse naturali al largo delle reciproche coste nelle acque internazionali. Certamente l’attacco di Hamas, e la reazione israeliana, hanno concorso a determinare l’intensificarsi dei lanci di razzi contro Israele dal territorio libanese, creando non pochi problemi alla natura stessa della missione di interposizione pacifica».
Si, ma di qui a prendere a cannonate le postazioni Unifil ce ne passa, no?
«Gli israeliani rimproverano ai militari dell’Unifil una certa negligenza “in vigilando”, contestando una, secondo loro, non corretta applicazione della risoluzione 1701. Fingono di ignorare che la forza multinazionale ha il compito di supportare l’esercito libanese nell’azione di disarmo e sminamento delle aree confinanti, ma non può operare direttamente, come sarebbe auspicabile, perché il mandato conferito a Unifil con la risoluzione delle Nazioni Unite non lo prevede e non lo consente. La stessa ragione che non consente a Unifil di rispondere al fuoco israeliano, preclude alla stessa di intervenire su Hezbollah».
Quindi, tra due fuochi con le mani legate?
«È un rompicapo giuridico-militare che tuttavia non giustifica il tentativo di negare la ragione per la quale la missione fu istituita, con il consenso stesso di Israele e del Libano in tutte le sue componenti etnico-religiose, Hezbollah compresa. La realtà è che quello in corso è un tentativo di delegittimazione più generale delle Nazioni Unite, alle quali sempre più le medie potenze di teatro (e non solo del teatro medio-orientale) vogliono sottrarre il ruolo di agente terzo nelle risoluzioni delle controversie internazionali, nella colpevole inerzia delle grandi potenze. Le medie potenze emergenti puntano, evidentemente, al ritorno ad un disordine regionale e mondiale che assomigli di più al far west che non all’idea, utopica sin che si vuole, di un mondo capace di dialogare per la pace, attraverso una griglia di valori condivisi, fatto di regole che ciascuna nazione si impegna a rispettare».