di Giada Fazzalari
Come molti ‘ismi’ che sono riaffiorati nel corso della Seconda Repubblica, il nostalgismo è quello più terribile: fa leva sulla paura del futuro e scava nel rimpianto del passato, quello che fa vedere il mondo con lo specchietto retrovisore. Facendo proseliti e incatenando un’idea ad una storia che non può ripetersi. O peggio, a un presentismo permanente. In quella parola – nostalgia – c’è tutto il paradosso dei socialisti: da sempre promotori di modernizzazione del Paese, con il riformismo nel dna, dalla visione e lo sguardo lunghi, ideatori di riforme avveniristiche e valori proiettati al domani. Ma al contempo, bloccati nella nostalgia del “come eravamo”. Questo numero speciale inaugura uno stile che, in realtà, ci piace poco (i nostri lettori non ce ne vorranno, ma il numero è ‘unico’): parlare di noi e non dell’Italia, stretta com’è tra il dramma di chi vive nel bisogno e la paura nel futuro. Ma dire chi siamo noi è un po’ come parlare del Paese, perché il socialismo – vi diremo una cosa che sembra scontata ma ha più il taglio di una notizia – non è soltanto il passato glorioso che ha reso il paese più libero e più giusto, attraverso la vita di giganti come Pertini, Craxi, Kuliscioff, Matteotti, Nenni. Il socialismo – e lo diciamo rifuggendo da ogni tipo di retorica – continua a vivere attraverso la voce, l’azione politica, le idee di giovani amministratori che continuano a cambiare l’Italia, ogni giorno. Nei loro territori, nelle città, nelle sezioni di partito. Una nuova generazione di dirigenti che disegna, ogni giorno, un nuovo manifesto. Fatto di parole chiave – idee, proposte e valori – che ritroverete sfogliando queste pagine. Non un nuovo Midas, ne’ una rottamazione. Guai a considerare il nostro passato come pagine polverose di un libro da archiviare, lungo 130 anni. Sono pagine della nostra storia che rappresentano, piuttosto, la nostra bussola. Per continuare (o per cominciare) a camminare con le nostre gambe