di Nautilus
L’anniversario dei cento anni dalla nascita di Alberto Manzi, il maestro di “Non è mai troppo tardi”, è stata un’occasione mancata, come capita spesso in questo Paese dalla memoria superficiale. Manzi è stato un personaggio formidabile, una delle personalità più importanti dell’Italia del dopoguerra ma invece è stato riproposto, trasmettendo qualche sequenza in bianco nero e rilanciando semplicemente la suggestione del bravo e buon maestro, che alfabetizzava attraverso la tv. Certo fu anche questo. Ma lo fu su una scala impressionante: si calcola che in otto anni di trasmissione quasi un milione e mezzo di italiani impararono a leggere e scrivere, conseguendo la licenza elementare. Per quelle persone la trasmissione del maestro fece la differenza tra una vita in stato di minorità e una vita più aperta, più libera, più piena. Un’impresa strepitosa, grazie all’umanità e alla sapienza pedagogica del maestro e alla scelta della direzione di quella Rai. Una Rai che pensava. Proviamo ad immaginare se oggi – o ieri con la “sinistra” – il Servizio pubblico riuscisse in un’impresa del genere: si sbrodolerebbero dalla mattina alla sera. Occasione persa, perché Manzi fu anche altro. Era nato a Roma nel 1924, figlio di un tranviere e di una casalinga e nel 1946 aveva avuto un incarico presso l’istituto romano di rieducazione Aristide Gabelli. Ventenne, Manzi si trovò allora a dover fronteggiare una ‘classe’ di 94 allievi, tra i nove e i diciassette anni e mezzo e realizzò un giornale mensile, La tradotta, il primo nel suo genere in un riformatorio. Nel 1955 Manzi ricevette dall’università di Ginevra un incarico per ricerche scientifiche nella foresta amazzonica: andò per studiare le formiche, ma avrebbe scoperto le condizioni sociali del mondo rurale latino-americano, tra Ande e Amazzonia. Da allora in poi, tutte le estati, Manzi si sarebbe recato ad insegnare agli indios a leggere e a scrivere. Dopo la trasmissione tv, tra il 1960 e il 1968, tornò a scuola ma ad un certo punto fu sospeso perché si rifiutò di compilare le schede di valutazione personale degli alunni. Rispose con una frase meravigliosa: “In ogni caso, l’allievo fa quel che può e quel che non può, non fa”.