di Andrea Follini
Israele deve rispettare il diritto internazionale. Disattesi gli accordi, mi aspetto delle scuse». Così il Ministro degli Esteri Tajani in un’intervista degli scorsi giorni al Corriere della Sera dopo i ripetuti attacchi delle forze di difesa israeliane contro le basi Unifil (United Nations Interim Forces in Lebanon) nel sud del Libano, dove prestano servizio anche un migliaio di militari italiani sotto l’egida dell’Onu. Ancora più duro il Ministro della Difesa Crosetto, che arriva a definire le incursioni dei crimini di guerra. Prende quindi una piega diversa dal recente passato, in modo tardivo, l’atteggiamento che il nostro governo assume nei confronti della crisi mediorientale, aperta (o meglio riaperta) il 7 ottobre 2023 con il barbaro attacco delle milizie terroristiche di Hamas nei confronti di civili israeliani. A poco sembrano valse le prime giustificazioni da parte del comando israeliano secondo il quale il primo degli episodi era dovuto all’ingaggio di un conflitto con forze di Hezbollah ad una cinquantina di metri da una postazione del contingente Onu, finito con il ferimento di due caschi blu cingalesi, mentre meno definita è la giustificazione circa l’avvenuto abbattimento di parte del muro di cinta della base italiana a colpi di caterpillar, con successiva distruzione dell’apparato di videosorveglianza della base. Gli israeliani hanno continuato ad affermare che, ripetutamente, avevano dato “ore prima” istruzioni al comando dell’Unifil di “entrare in spazi protetti e di rimanervi”. Un ordine perentorio quindi, quello dell’Idf ai militari Onu; come a consigliare premurosamente di togliersi di torno per lasciare loro campo libero, in territorio libanese quindi sul suolo di uno Stato sovrano, senza creare problemi e, soprattutto, senza creare impedimenti. Viene da chiedersi se questa necessità sia davvero di ordine militare oppure se non risponda più all’esigenza dell’Idf di non avere attorno scomodi testimoni. Netanyahu non ha mancato di sollecitare il Segretario Generale dell’Onu Guterres a rimuovere i caschi blu dall’area definita dal premier israeliano “di pericolo”, motivando questo suo sollecito con la possibilità che Hezbollah utilizzi la presenza dei militari delle Nazioni Unite come scudi umani. L’insofferenza dei militari Unifil per questo atteggiamento del governo di Tel Aviv è già stata palesata; il contingente rimarrà nelle sue postazioni – ha garantito il comando Unifil – per far rispettare le risoluzioni Onu, e non è detto che a conseguenza dei ripetuti attacchi, non venga attivata una adeguata risposta. La presenza dei caschi blu in territorio libanese non è certo cosa recente. L’Unifil è stata istituita nel lontano 1978 attraverso la risoluzione Onu 425 e successivamente prorogata semestralmente con nuove risoluzioni. L’ingaggio dei militari delle Nazioni Unite è quello di garantire il ripristino della pace, la sicurezza nella zona e di assistere il governo libanese nella riorganizzazione della sua piena autorità. Nel tempo, più volte il comando della missione è stato affidato ad ufficiali italiani. Non sono mancati, nel corso degli anni, attacchi mirati di Hezbollah dal territorio libanese verso postazioni militari israeliane lungo la Blue Line di confine o addirittura verso città e villaggi di Galilea, causando la morte di civili e militari israeliani. Come sta succedendo del resto da più di qualche settimana, dopo il riacuirsi della guerra israelo-palestinese, motivo per il quale Israele è passato al contrattacco entrando in territorio libanese. Ora, ad un anno da quel tragico 7 ottobre, il conflitto si sta espandendo e non se ne intravede un futuro certo. Le azioni mosse dalle truppe di Tel Aviv negli ultimi giorni, su indicazione del governo Netanyahu, hanno assunto un contesto più spregiudicato. Il premier israeliano, al netto delle tensioni interne al suo governo, in modo particolare proprio con il Ministro della Difesa Gallant che vorrebbe un ridimensionamento dell’azione militare di Israele, ha dimostrato lo sprezzo del diritto internazionale ed una grave disattesa degli ammonimenti delle Nazioni Unite. Gli attacchi alle basi Onu in Libano sono solo l’ultimo spregio verso l’azione della comunità internazionale nell’area mediorientale. Viene da chiedersi quindi se la stessa comunità internazionale non giudichi maturi i tempi per la chiusura di quella “finestra di legittimità” concessa al governo israeliano dopo le stragi del 7 ottobre, e reagisca con durezza nei confronti delle scelte di un leader il cui interesse, oramai più che evidente, sembra essere solo quello di proseguire sulla strada del conflitto perenne. Pare che, almeno in Europa, forse proprio per queste ultime azioni nei confronti del caschi blu, questa maturazione stia avendo corso, pensando come prima reazione a terminare l’invio di armi a Tel Aviv. Macron, Sancez e Meloni, (Francia, Italia e Spagna, assieme all’Irlanda, sono i Paesi europei che contribuiscono alla composizione del contingente militare in Libano) con un comunicato congiunto, si sono dichiarati “indignati” per quanto successo ed hanno chiesto a Netanyahu il ripristino del diritto internazionale ed il rispetto dalla risoluzione Onu 1701 arrivando, nel caso del premier spagnolo, il socialista Pedro Sanchez, a chiedere di rimettere in discussione il patto di associazione tra Unione europea ed Israele. Ciò che non hanno potuto più di quarantamila morti civili, chissà che riesca a fare un caterpillar.