di Lorenzo Cinquepalmi
La personalità politica ideale dovrebbe incarnare il felice incontro tra un sincero e generoso interesse per il destino dei propri simili e il genuino disinteresse per le proprie fortune, economiche o di potere. Se decidiamo di adottare questo modello, che si adatterebbe perfettamente a tanti leader dei quarant’anni successivi alla fine della guerra, e cerchiamo nella contemporaneità o anche nell’ultimo ventennio qualcuno che possa corrispondere a queste basilari caratteristiche, dobbiamo arrenderci al fatto che nella politica di oggi, in perfetta sintonia con la società di oggi, la generosità, l’altruismo, l’ideale, non costituiscono più i requisiti essenziali per aspirare al governo della cosa pubblica. Gli scontri ci sono sempre stati, tra organizzazioni costruite su differenti visioni della società, e conseguentemente tra leader rappresentativi di quelle differenze. Ma quello deflagrato in questi giorni, dopo mesi e anni di contrasti più o meno sotterranei, tra Grillo e Conte, si atteggia a vero paradigma del nostro tempo, della stagione politica declinante che intossica ormai da tre decenni il nostro Paese. Grillo ha messo in piedi, in un opaco sodalizio col defunto Casaleggio senior, una forza politica costruita sull’ipocrisia populista, maneggiata con cinica spregiudicatezza degna di un Goebbels, celando dietro al fine dichiarato ma solo apparente di un riscatto di massa, un invece concretissimo progetto di arricchimento e di potere che con la promozione sociale degli ultimi non ha niente a che vedere. Basti pensare agli antemarcia del grillismo: i Di Maio, i Toninelli, i Di Battista, i Crimi, alla loro repentina e vacua parabola politica, al nulla che hanno lasciato dietro di sé, per comprendere che il nulla è la cifra stessa del messaggio politico grillino. Un nulla roboante, ammaliante come le note del magico pifferaio, produttivo di qualche effimera carriera parlamentare o ministeriale e di molte succulente prebende, ma incapace di lasciare il popolo in condizioni migliori di quelle in cui l’aveva trovato. Un nulla fatto di banchi a rotelle, di bonus monopattini, di asserita abolizione della povertà. Il nulla di Conte, che oggi oppone il suo vuoto populismo a quello di Grillo, non per una dialettica politica, evidentemente inesistente, ma per eliminare la cordata concorrente interna nella rincorsa a un numero sempre più esiguo di posti. Lo scontro tra Conte e Grillo per la leadership “morale” dei sedicenti levellers alla pommarola si consuma, in chiave di contrappasso, proprio su quel terreno scelto all’origine dagli squadristi del vaffa per assaltare la diligenza erariale: la malversazione del finanziamento alla politica. Che effetto produrrà nel profondo dell’anima del militante grillino, nell’intimo del suo cuore, pensare che il Beppe si è pappato trecentomila euro all’anno dei soldi di tutti, e che oggi l’avvocato del popolo li sposta disinvoltamente da quelle tasche alle sue (metaforicamente ma non troppo)? Non stiamo banalmente gongolando del declino del movimento: per chi sogna il ritorno di una politica alta, le baruffe tra Conte e Grillo non risultano poi troppo diverse da quelle tra Renzi e Calenda, così come di quelle che si intravedono dietro i protagonisti della farsa in più puntate messa in scena al ministero della cultura popolare (ma sì, diamogli il nome che merita: MinCulPop) dai Sangiuliano ai Giuli, o dietro i dossieraggi incrociati. Se, però, in giro vi fosse ancora qualcuno capace di disgustarsi per le marchette populiste che sembrano l’unico carattere della politica nel tempo attuale, a sinistra come a destra, beh, si faccia avanti. Noi ci saremo.