di Alessandro Silvestri
Se Eduardo fosse ancora tra noi, ne avrebbe eccome di spunti e di sollecitazioni in cui pescare, di canovacci da approntare, di tic da narrare, con il suo particolare, sagace e graffiante osservatorio particolarissimo sui vizi e le debolezze della società. Una struttura narrativa densa certamente di napoletanità, ma anche molto di italianità. I fatti di queste ultime settimane più che di cronaca, parlano infatti di una commedia, politica e istituzionale, che si sta consumando ai danni di un intero Paese, della sua storia, dell’apparente orgoglio quanto scarsa consapevolezza di essere i detentori di un terzo di tutto il patrimonio artistico e culturale del pianeta. Un bagaglio pesante che in un Paese normale, avrebbe dovuto raccogliere intorno alla sua promozione e salvaguardia, il fior fiore della cultura e della scienza nazionale. E non solo. “Questi fantasmi” invece, sono riaffiorati dalle viscere della storia durante il golpe del 1992, con il compito di assassinare i vivi e come primo punto del proprio programma l’arroganza di voler riscrivere la storia e di sostituirsi, da perfetti antidemocratici e figli del totalitarismo, ai democratici e i liberali autentici. E quindi con la brama di conquistare ogni angolo disponibile di potere, una volta arraffatolo. Ma non è così che funziona uno Stato, e l’avvento meloniano sta lì a dimostrarlo quotidianamente, con lo schieramento di una “classe dirigente” che più improbabile e raffazzonata non si potrebbe. Filomena Marturano potrebbe fare un master di gestione politico-istituzionale a molti di costoro. E così rievocando i “bei tempi” hanno finito per ricreare ministeri speculari al ventennio. Come il Minculpop al centro di una serie di catastrofi dove ogni toppa è stata peggiore del buco. Pensavamo che dopo Sangiuliano avessero raschiato il fondo del barile, e invece ecco l’etereo Giuli, una sorta di baronetto austroungarico dalla gentilezza compressa e innaturale, appassionato di mitraici soli invitti, di rune esoteriche e di simbolismi legati ad un immaginifico mondo himmleriano e futurista. Colui che almeno nella scelta dei collaboratori aveva puntato su soggetto di fiducia ma non di saluto romano, ed è stato costretto ad uscire dal Collegio Romano con le mani alzate, proprio dai suoi che non hanno gradito uno “de sinistra” come capo di gabinetto, per di più omosessuale e sposato con altro uomo. Proprio adesso che la Meloni ha voluto l’ennesima legge terracquea che proibisce (anche nei Paesi dove è legale da decenni) la maternità surrogata, fatta assurgere a reato universale! Ma che davero! Eppure avrebbero potuto indagare proprio sulla gestione del Maxxi da parte del neoministro e dei suoi collaboratori più stretti e invece è toccato farlo a Report. Cioè tu che governi ti preoccupi cosa fanno la notte quelli preposti ad incarichi delicati e non quello che combinano di giorno? E il corto circuito sta proprio anche in questa staffetta Sangiuliano/Giuli, giacché uno dei problemi delle attività culturali è che la politica si deve, per forza di cose, avvalere di esperti in materia al di fuori delle cordate e dei familismi. Non certo di personaggi ambigui e borderline alla Maria Rosaria Boccia. Le scienze, l’arte e la cultura, sono per propria natura (e per fortuna) antitetiche agli yes-men. Più tentano di ingabbiare le arti e la libertà che le sovrintende e più mettono le persone sbagliate al posto che diventa automaticamente sbagliato anch’esso, alternando la zappata sui propri piedi a quella data all’intero stivale. Per non parlare di Vittorio Sgarbi, naturalmente. Altro boomerang clamoroso per la maggioranza. Pescato con le mani nella marmellata per aver ricettato una tela rubata di Rutilio Manetti nel 2013 e fatta modificare da un falsario per far credere che l’opera fosse un’altra dello stesso pittore seicentesco senese. Ma l’attitudine del governo a pestare merde non si concede un attimo di respiro. Ecco lo scandalo del dossieraggio di cui siamo “profeticamente” certi di essere soltanto alla punta dell’iceberg, dove società private con la complicità di uomini dell’apparato pubblico, hanno scassinato e derubato centinaia di migliaia di banche dati, anche sensibilissime (si legge nel dispositivo della Procura milanese di 138 accessi anche all’archivio dell’AISI) fino a lambire anche il Quirinale. Una specie di spionaggio à la carte, con tanto di compravendita di archivi (pubblici e privati) che è un fatto così esponenzialmente grave da far traballare anche il più popolare, democratico e benefattore dei governi. Figuriamoci il nostro. Staremo a vedere. C’è poi il fronte ligure/genovese, dove è emerso un sistema di corruzione e concussione da far impallidire Tangentopoli. Ma questi non dovevano essere la cura di tutti i mali della prima Repubblica? E anche sull’opportunità di candidare Bucci, con tutto quel corollario di aderenze e di sostanziale silenzio/assenso all’apparato, molto ci sarebbe da dire. Per adesso i liguri (con molta complice responsabilità di Giuseppe Conte) lo hanno voluto come prossimo Presidente di Regione, se pur di un soffio, scegliendo la conservazione di schieramento e di sistema. Restiamo convinti che Andrea Orlando avrebbe rappresentato una nuova stagione di competenza e serietà, un profumo di primavera che avrebbe fatto un gran bene alla Liguria. E alla politica. Che almeno l’ennesima non-vittoria insegni finalmente qualcosa. Perché di cuochi alla Gennarino, assunti dal Barone Croce non per i propri meriti, ce ne sono anche troppi nella cucina della politica italiana e sarebbe l’ora che la besciamella la facesse chi la sa fare.