di Giada Fazzalari
Ora che ci apprestiamo a celebrare il 25mo anniversario della scomparsa di Bettino Craxi, viene da chiedersi se un quarto di secolo sia un tempo sufficiente per una lettura più profonda di ciò che fu il craxismo non per noi socialisti, ma per il Paese, che considera quella stagione e il suo leader ancora oggi, controversi e non definitivi. Rendere omaggio al leader politico, seppure unito al ricordo doloroso della sua fine in esilio in Tunisia, oggi, non può bastare più. Il giudizio storico, non basta più. Serve, invece, la ricerca delle ragioni vive che legano la sua parabola politica all’oggi. Internazionalismo, riformismo ed europeismo, certo, sono stati la cifra dell’azione politica di Craxi. Ed è quantomai attuale considerare necessari, per affrontare il delicato caso Cecilia Sala, il protagonismo internazionale dell’Italia, la difesa degli interessi nazionali e quella linea di autonomia del governo Craxi da interferenze straniere (vedi Usa). Principi che il governo Meloni ostenta ma non ha mai praticato, nel nome di un finto sovranismo che finisce per diventare macchietta. Il craxismo non fu soltanto un periodo politico nel quale il Psi assunse responsabilità di guida del Governo del Paese, replicando l’esperienza del primo centrosinistra. Non si tratta solo di questo; fu piuttosto una stagione nella quale fu operata una vera e propria rivoluzione culturale e storica della vita politica italiana che ebbe un epilogo tragico soprattutto per un fatto, e cioè la poderosa portata dei cambiamenti che esso produsse. Prima di tutto perché il craxismo seppe collegarsi non soltanto con le tradizioni migliori del riformismo socialista Italiano ma anche con le radici più profonde della storia del Paese e della sua unità che ebbe inizio con il Risorgimento italiano. I socialisti dell’epoca seppero reinterpretare, rigenerando, valori della patria che la parentesi fascista nella sua retorica enfatica avevano pregiudicato; il craxismo seppe offrire un’alternativa nazionale all’immobilismo nel quale la Dc, così longeva alla guida del potere, aveva imposto al Paese creando una sorta di assuefazione dettata dall’impossibilità di un’alternativa alla guida del governo. Allo stesso tempo il Pci, nonostante il suo peso elettorale, non poteva essere reale successore alla guida del Governo perché il modello di ispirazione restava indissolubilmente legato al blocco sovietico. Il craxismo fu una stagione di suggestione politica irripetuta perché l’ansia di rinnovamento socialista seppe toccare diversi campi della politica e della società. E il bisogno di modernizzazione del Paese, di adeguamento del proprio profilo istituzionale, del proprio ruolo internazionale crearono uno choc, furono una vera e propria scossa tellurica all’interno di una società segnata da quasi un ventennio di turbolenze e di instabilità politiche. Anche per queste ragioni contro Craxi e i socialisti fu condotta una battaglia senza quartiere: si è voluto prima liquidare quell’esperienza ed in questi anni tentare di cancellarne ogni traccia. L’omaggio al leader è tanto più doveroso perché con il passare degli anni si è fatto più consapevole. Perché sono le nuove generazioni – l’Avanti! ne è testimone – che vogliono riaccendere una connessione sentimentale con un periodo della storia italiana che resta fondamentale. Perché fu incubatrice di modernizzazione, di reale novità e originalità. Eredità che oggi non possiamo disperdere.