di Pia Locatelli
La Convenzione del Partito Democratico Usa – 4000 delegati ed altre migliaia di persone, tra politici, giornalisti, lobbysti, supporters, manifestanti, circa cinquantamila persone – si è appena conclusa a Chicago, confermando la scelta di Joe Biden per la corsa alla presidenza degli Stati Uniti: Kamala Harris, la sua leale vicepresidente, sarà la seconda donna candidata alla presidenza e, sperabilmente, la prima donna a guidare il Paese. In molti si chiedono se gli Usa siano pronti per una presidente donna. Non lo sono stati nel 2016, preferendo ad Hillary Clinton Donald Trump che, dopo essere stato sconfitto nel 2020 da Joe Biden, ci riprova. Ci riprovano i democratici a candidare una donna, dopo la sconfitta della brava e competente Hillary Clinton e, ad un mese dal ritiro di Joe Biden, i sondaggi paiono alimentare la speranza per una svolta davvero epocale: ha buone chance di successo una donna, una donna di colore, una donna di colore che viene dalla California, lo Stato più progressista, più liberal tra i cinquanta che compongono la federazione Usa. La candidatura di Kamala Harris ha riaperto i giochi che sembravano ormai fatti, nonostante i buoni risultati delle politiche economiche dell’Amministrazione Biden, un bravo presidente, entrato in funzione in piena crisi pandemica, che ha gestito coraggiosamente, capace di conseguire risultati legislativi nonostante una maggioranza risicata al Congresso, “trasformativo” nelle politiche industriali e nella transizione verde, grande esperto di politica estera, attento all’Europa con la quale ha riannodato relazioni che si erano allentate nei quattro anni di Amministrazione Trump. Ora la partita è nelle mani di Kamala Harris, nata ad Oakland, California, sessant’anni fa, figlia di un economista afro-giamaicano e di una scienziata indiana, oncologa specializzata nel cancro al seno, attivista per i diritti delle donne. Kamala Harris dalla brillante, anche se non riconosciuta, carriera nelle istituzioni e nel mondo politico Usa: procuratrice generale di San Francisco e poi dello Stato di California, senatrice, vice presidente di Joe Biden con il quale è sempre stata leale, anche nella scelta del basso profilo della sua vice-presidenza. Kamala Harris ha di fronte a sé una strada in salita perché il Paese è diviso a metà: da una parte Trump, un candidato con un passato a dir poco discutibile: dopo la sua sconfitta nel 2020, ha istigato l’assalto al Congresso per impedire a Joe Biden di iniziare il suo mandato presidenziale. Un fatto gravissimo che pare non incrinare il sostegno di milioni di “trumpiani”, ma che ha creato qualche difficoltà tra i Repubblicani, alcuni dei quali si stanno organizzando per sostenere Kamala e il suo compagno di corsa, il governatore del Minnesota Tim Walz. Si definiscono “Republicans for Harris” ed hanno iniziato ad organizzare rally on line. Sul versante democratico il ticket Harris-Walz sembra una scelta davvero azzeccata, capace di rispondere agli insulti, alle volgarità e alle clamorose bugie del ticket Trump-Vance con una efficacia accentuata dai toni lievi, ma capaci di smontare, ridicolizzandole, le loro uscite al limite del grottesco. Sarà certamente una campagna in salita ma Kamala Harris ha dalla sua alcuni vantaggi, a partire dal tema dei diritti umani, in particolare in tema di aborto, tema caldo negli Usa dopo che la Corte Suprema ha abolito nel giugno 2022 la storica sentenza “Roe vs Wade” con cui nel 1973 era stato legalizzato l’aborto negli Usa; una sentenza che consente agli Stati più conservatori di impedire l’aborto legale, non certamente di prevenire o cancellare quelli clandestini. Una carta da giocare con occhio di riguardo al voto femminile che è maggioritario nel Paese e che ha un tasso di astensione inferiore di 3-4 punti rispetto al voto maschile. Le uscite di Trump – Vance sui diritti sessuali e riproduttivi delle donne potrebbero rafforzare la tendenza di un voto femminile più orientato verso le candidature democratiche e che potrebbe addirittura catturare il voto delle elettrici repubblicane, per alcune delle quali il voto a Trump risulta indigeribile. Negli Stati Uniti è partita una “ola” che spiegherà i suoi effetti man mano si avvicina il giorno del voto. “WE STAND WITH KAMALA HARRIS”, “NOI CON KAMALA HARRIS” dicono tante donne americane; fanno loro eco tante donne che nel mondo sono impegnate a promuovere la leadership femminile nelle istituzioni, accogliendo e diffondendo il messaggio che la candidata alla presidenza Usa ha rivolto alle ragazze e alle giovani donne americane: “Posso essere la prima, ma non sarò l’ultima”, aprendo la strada ad una presidente donna dopo ben 46 presidenze tutte maschili