Camerata Delmastro, ti spieghiamo la differenza tra vendetta e giustizia

di Lorenzo Cinquepalmi

L’avrai, camerata Delmastro, l’attenzione che tanto brami. Ma che genere d’attenzione sarà, non sarai tu a deciderlo. Non sarà spinta dal respiro che aneli a togliere ai carcerati, né amplificata dalla tua disumana aspirazione a infliggere sofferenza con intima gioia. L’attenzione a cui incoscientemente ti candidi sarà quella con cui le persone per bene di questo nostro ancora generoso Paese guardano con ripugnanza alla crudeltà. Se né gli studi di diritto né la sbandierata fede religiosa ti hanno insegnato la pietas; se nell’adolescenza ti sono mancate le lezioni di Cuore e de I miserabili; se ti manca il senso della differenza tra giustizia e vendetta, allora il premio cui aspiri per il tuo frenetico attivismo sarà crudele quanto tu mostri di essere, camerata Delmastro. A te, sparatore di capodanno, divulgatore di segreti dello Stato per vanità parlamentare, negatore dell’Olocausto, ammiratore di Degrelle, una fortunata combinazione di circostanze ha messo in mano un compito alto e nobile: la giustizia. O, meglio, quella parte dell’amministrazione della giustizia a cui la Costituzione antifascista, per cui mostri assai poco rispetto, affida il compito di rieducare i condannati ripudiando trattamenti contrari al senso di umanità. L’opposto del tuo pensiero e delle tue parole, camerata Delmastro: i tuoi dichiarati modelli di carcerieri sono gente come il Priebke cantato dai Gesta Bellica, un aguzzino nazista verso il quale il sistema penitenziario italiano ha usato quell’umanità che lui certo non meritava, ma che uno Stato libero e democratico deve a sé stesso. È questa la differenza essenziale tra la società civile e la società criminale: la prima deve essere giusta e umana per non degradarsi a ciò che è la seconda. E se la seconda toglie la vita, la prima rifiuta di togliere il respiro perché è costruita sul diritto e non sulla paura, sulla speranza e non sull’orrore. La dea di quella giustizia di cui dovresti occuparti, camerata Delmastro, ha nelle mani la bilancia e la spada: ma la bilancia è sempre più in alto della spada. E lo scudiscio non c’è, non ha posto nel mondo dei giusti. Quello Stato che rappresenti in modo discutibile esiste perché i suoi cittadini ne riconoscono l’autorevolezza e il prestigio; è la ragione per cui va servito con onore. Non c’è onore nella crudeltà, camerata Delmastro. Non c’è autorevolezza nella prevaricazione. Non c’è rispetto per la cattiveria. E non c’è costrutto nel governare col bastone: i governi della forza vanno tutti incontro allo stesso destino, quando i popoli presentano il conto. Ecco perché la fama che avrai non sarà quella che cerchi, e ti renderà famigerato, non famoso. Gli italiani del cui governo hai agguantato un pezzetto sono largamente antifascisti, e tu, camerata Delmastro, sei il modo migliore per ricordare a tutti di che pasta sono fatti troppi ministri e sottosegretari del tuo partito. Non pensare, non pensate tutti, che la mancanza di una reazione immediata ai vostri gesti, ai vostri simboli, al vostro scoperto richiamarvi ad armamentari fascisti e nazisti, significhi approvazione. Arriverà il momento in cui la somma di tutte le vostre forzature colmerà la misura dell’indifferenza. Ricorda che il silenzio dei torturati, anche se reprobi, anche se irriducibili criminali, rimane più duro di ogni macigno e come un macigno pesa sulla coscienza delle donne e degli uomini liberi e onesti, consapevoli che rispondere alla violenza con la violenza, all’odio con l’odio, significa rinunciare ai principi di libertà, solidarietà ed eguaglianza che rendono la nostra società migliore di quella mafiosa. Milioni di persone fanno questa scelta ogni giorno, e la fanno per ragioni opposte a quelle che tu hai offerto loro raccontando uno Stato che risponde alla ferocia con la ferocia invece che col diritto. Per questo, camerata Delmastro, saranno proprio queste parole da te esecrate: libertà, solidarietà ed eguaglianza, che riporteranno te e quelli come te nel sottosuolo da cui sono malauguratamente riemersi. Il 25 aprile è qui, dietro l’angolo.

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