2 giugno. Formica: Oggi la destra lavora per dividere ciò che la Repubblica volle unire

Di Rino Formica

Diciannove anni sono quell’età nella vita nella quale si combatte per il futuro. E lo fu soprattutto per noi giovani italiani del 1946, appena usciti da una sanguinosa guerra mondiale e da un cruento riscatto della libertà quali furono la guerra di liberazione e la Resistenza; con un Sud del paese già liberato da tre anni dagli alleati, ma da questi anche guidato, commissariato, ed un Nord Italia dove la libertà si gustava solo da pochi mesi. Negli anni precedenti, da giovane socialista quale ero, non mancai di trovarmi in polemica con Nenni. Ma questo mio atteggiamento con gli anni cambiò, e leggendo queste righe se ne capirà anche il motivo. Le elezioni del 1946, dove si votava per la forma dello Stato ma anche per eleggere i membri della costituente, furono caratterizzate quasi da un maggiore interesse degli italiani verso la forma di governo che verso i partiti; forse per gli elettori era più facile comprendere cosa c’era in ballo nella scelta tra Monarchia e Repubblica, piuttosto che nelle differenti correnti di pensiero politico. E Nenni capì quanto fosse più importante, nel confronto con gli italiani, far comprendere loro l’utilità del voto repubblicano, prima ancora che del voto socialista. In un Paese così sconquassato e così diviso, lottare per una visione unitaria di un’Italia repubblicana fu la soluzione pensata dai dirigenti del nostro partito, che vedevano in Nenni la sintesi di questo pensiero. Ed ebbero ragione. Il suo “O la Repubblica o il caos” non fu solo uno slogan: fu un monito chiaro, un’analisi lucida di quanto sarebbe potuto succedere, nel caso in cui l’Italia non si fosse svegliata repubblicana all’alba del 4 giugno. Nenni intuì che il punto fondamentale non era la polemica a sinistra, bensì la rottura istituzionale in Italia. Questa convinzione la espresse con questa celebre frase, un potente messaggio che andava nella direzione di contraddire tutte le posizioni moderate. Un aut-aut chiaro, cristallino. Nenni scrisse un articolo, nel finire del 1945, attraverso il quale trasmise di aver percepito che ciò che lui definì ”il vento del Nord”, cioè quello spirito della Resistenza, di quella lotta al nazifascismo che aveva potuto riscattare il Paese dalla infamia della guerra fascista, “aveva già perso la sua forza gagliarda”. E allora bisognava far presto, bisognava ottenere la rottura istituzionale con il passato, attraverso la Costituente e la Repubblica. Nonostante il referendum del giugno 1946 mostrasse una netta frattura ideologica tra il Nord ed il Sud del Paese, la visione unitaria e repubblicana promossa da Nenni diede voce a quell’azione politica che divenne contrapposizione alle sole ideologie. Saper leggere gli avvenimenti attuali per orientare il futuro era una delle sue più grandi capacità, come il trasferire questa visione nell’indirizzo di partito.  Nell’analisi e nella valutazione del comportamento politico che doveva esplicitarsi nella azione del PSI  e nell’interesse generale del Paese, Nenni partiva da tre elementi. In primo luogo uno sguardo attento all’evoluzione del quadro internazionale, consapevole che prima o poi quanto avveniva al di fuori dei nostri confini avrebbe avuto effetti nella realtà politica italiana. Riteneva inoltre fondamentale l’essere attenti all’equilibrio delle forze politiche e sociali in Italia, ed ai rapporti di forza tra esse. Infine il terzo elemento era costituito – e qui spunta l’elemento volontaristico, l’elemento dello spirito rivoluzionario – dall’essere attento a studiare, a valutare il momento in cui si crea la possibilità, si apre la finestra nella storia, di forzare il corso delle cose, come diceva lui. Ecco l’azione. Nenni fu anche il promotore dell’unità all’interno del nostro partito, sin dagli albori, ed anche in questo campo la sua convinzione stava nella trasposizione in chiave nazionale dell’evoluzione politica europea, perché questa considerazione avrebbe potuto salvaguardare, nella sinistra italiana, l’autonomia di pensiero e l’azione socialista. Se Nenni non avesse avuto questa capacità di saper legare il principio di unità alle espressioni di ribelle autonomia, non avrebbe potuto donare alla sua Patria la Repubblica, l’incontro storico  di governo tra radicalità socialista e popolarismo cattolico, ed una politica estera di pace fuori dalle trappole del pacifismo unilaterale, che si può leggere anche con gli occhi di oggi, in quanto esprimono una disarmante attualità. Il legame tra le due anime, socialista e cattolica, furono alla base dei rapporti di Nenni e Moro e costituirono un asse di governo riformista che consentì alla Repubblica quel decennio di splendore, dal 1959 al 1969, nato dalla messa in comune dell’idea di un processo di secolarizzazione della società che consentisse alla politica di liberare le forze della società civile. Un processo consentito anche dalla rottura dell’incantesimo comunista. Un processo dove l’allargamento delle basi popolari dello Stato con Moro ed il riscatto sociale degli ultimi con Nenni posero le fondamenta per una definitiva trasformazione del Paese, le cui origini vanno ricercate proprio in quel 2 giugno. Dovremmo ritornare a leggere, non solo con nostalgia, quelle pagine della nostra storia; e da esse guardare oltre i limiti dei nostri giorni, come nuovi diciannovenni, ancora desiderosi di combattere per il futuro.

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